L'eroe imperfetto

Libro di Wu Ming 4

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    Autore: Wu Ming 4
    Editore: Bompiani
    Collana: Grandi tascabili. Agone
    Anno edizione: 2010
    In commercio dal: 23 giugno 2010
    Pagine: 164 p., Brossura
    EAN: 9788845265037

    Cosa succede se un personaggio di un racconto prende il sopravvento sullo scrittore? Succede che la sua storia e i suoi stimoli traboccano al di fuori del romanzo stesso e si dividono in mille rivoli, seguendo strade a volte parallele, a volte intersecanti, ma producendo in ogni caso altre storie. È il caso di “Lawrence d’Arabia”, al secolo Thomas Edward Lawrence, che fu soldato, agente segreto, archeologo e scrittore, il cui mito è soprattutto legato alla rivolta araba contro il dominio turco durante la Prima Guerra Mondiale. Personaggio già nelle sue memorie, è stato il protagonista di Stella del Mattino (Einaudi, 2008) di Wu Ming 4. Ora lo scrittore, di nuovo in solitaria rispetto ai suoi soci, dà alla stampe un trittico di saggi, raccolti sotto il nome collettivo L’Eroe imperfetto (Bompiani, p. 174 – euro 10), in cui Lawrence d’Arabia è sempre presente, in maniera più o meno palese. Perché nello sfortunato ufficiale britannico si riassumono tutte le caratteristiche di un certo tipo d’eroe, quello che deve sopravvivere al sé stesso e al proprio mito, l’anti-eroe già descritto dai classici e tramandato dalla notte dei tempi. Il sentiero di riletture prova a ragionare sulla crisi e la possibile sopravvivenza nel presente di questo archetipo letterario e culturale. Nel Secolo XX – che per un certo periodo ha esaltato l’eroe tutto d’un pezzo, sempre perfetto e pieno di medaglie, che ha lasciato poco spazio a quello imperfetto, pieno di contraddizioni e di errori, sempre in conflitto con sé stesso – Lawrence si staglia come un gigante, come il prodotto di un intreccio tra storia e mito trattato fin dalla Poetica di Aristotele: guerriero e letterato, traduttore dell’Odissea di Omero e autore di un memoriale che viene considerato un poema epico in prosa moderna. Si tratta di un eroe in collisione frontale con quello classico fin da quando Ulisse contese ad Aiace le armi di Achille.

    Il secondo, incarnazione degli antichi ideali aristocratici, coraggioso, ma anche superbo e sempre alla ricerca della “bella morte”, non può che soccombere. Per lui, malato di hybris, non è concepile una macchia nella vita, un’esistenza post-eroica. Il primo, astuto ma ambiguo, aggira lo scontro anziché cercarlo, sfrutta il vuoto anziché il tutto-pieno. Proprio a questo modello guarda Lawrence, quello post-eroico dell’ultima fase della vita con la sua capacità di introiettare la sconfitta. È il punto focale delle riflessioni di un altro scrittore del Novecento, anch’egli autore di un poema epico in prosa moderna, J.R.R. Tolkien. Qui il richiamo è doppio, se non triplo: è chiamato in causa come autore del Signore degli Anelli, come autore di saggi su poemi medievali come Sir Gawain e La Battaglia di Maldon e come protagonista di Stella del Mattino. Il professore di Oxford torna più volte nella riflessione di Wu Ming 4 in queste vesti diverse, ma sempre seguendo il filo conduttore dell’eroe. Tolkien mette profondamente in discussione la “teoria del coraggio”. Lo fa con Frodo e Sam nel suo capolavoro, ma anche con la sua critica al conte anglosassone Byrhtnoth che a Maldon mostra un “eccesso” di eroismo. Il lavoro filologico del professore sulla parola “ofermod” (parola simile a hybris), è in grado cambiare radicalmente l’interpretazione del tema centrale del poema: non d’audacia, ma d’orgoglio si tratta, con una sfumatura negativa. Questa «aspirazione a onore e gloria, in vita e dopo la morte, tende a dilatarsi, a divenire un movente fondamentale», inducendo il protagonista all’eccesso cavalleresco che causa di rovina per tutti i suoi guerrieri e per il Paese. Già Ulisse non era nuovo a gesti avventati per il proprio orgoglio (anche lui lascia massacrare i compagni in alcune occasioni), ma qui Tolkien e con lui Wu Ming 4, sottolineano come il perseguimento cieco della gloria fine a se stessa causino danni irreparabili. Ecco perché nel Signore degli Anelli Aragorn, l’eroe di un canone ben consolidato, sia accanto a Frodo, ma sempre sullo sfondo: la vicenda centrale è quella dell’antieroe, di colui che si deve sacrificare, arriva a perdere tutto, in senso materiale e psichico, per il bene della comunità. Il Lawrence di Stella del Mattino non è troppo distante da Frodo. In quest’ottica, Maldon diventa quasi un luogo simbolico, un paradigma di come lo scontro sul campo si trasforma in scontro di narrazioni, di parole. Tolkien e Jorge Luis Borges hanno addirittura pensato a finali alternativi del poema. E lo stesso fa qui Wu Ming 4. Quest’ultimo aspetto è molto intrigante perché è la concretizzazione delle potenzialità narrative delle storie, attraverso cui il nostro retaggio letterario è giunto fino a noi. Un poema dell’anno mille che stimola due scrittori del XX secolo. Quel “riempire i buchi” è una delle caratteristiche dello Homo Fabulans.

    Ecco implicitamente introdotto il terzo e ultimo elemento del volume, già presente in Stella del Mattino, con Robert Graves che ne è l’incarnazione. Durante la Prima Guerra Mondiale, il poet war sperimentò sulla pelle le conseguenze estreme dell’ideale dell’eroismo classico, tanto da rigettarlo totalmente in Addio a tutto questo. Il poeta e scrittore inglese sapeva – lo scrisse in La Dea Bianca – che quel modello eroico ereditava una tradizione più antica, quella propria del mito primigenio, dove l’eroe aveva una funzione comunitaria imprescindibile e la cui avventura, che poteva includere anche la morte, era un passaggio che garantiva la ciclicità della vita, un atto collettivo, ciclico e rivitalizzante. Così l’ultimo saggio prende questa strada nuova, che porta fino a John Steinbeck e a Christa Wolf, sulle tracce del “femminino” (i temi poetici connessi alle figure femminili nella mitologia e nella letteratura) nel tema dell’eroe. Se Joseph Campbell concludeva che l’uomo moderno dovesse ripartire dal singolo, ma sempre come modello d’umanità, come “uomo sociale”, Wu Ming 4 giunge a rintracciare una versione dell’eroismo più antica di quella monolitica virile che, senza escludere il sacrificio per il bene comune, contrappone al fascino della morte il legame irrinunciabile alla vita, agli affetti, alla natura. È una strada che forse porterà l’autore a nuovi saggi o romanzi. Sicuramente a nuove storie.


    Crediti di © Ibs

    Edited by ;Fairytale» - 21/4/2023, 20:52
     
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    Wu Ming 4, L'Eroe Imperfetto, Bompiani, Milano, 2010

    di Claudio Testi, recensione pubblicata sulla rivista © Endòre n° 13

    Il collettivo Wu Ming va senza dubbio trattato con il rispetto dovuto a chi cerca di “fare” seriemente cultura, studiando con dedizione, senza nascondersi dietro ad altisonanti titoli accademici, ma presentandosi prima di tutto per le opere prodotte, che nel loro caso sono sempre volumi documentati, profondi (i saggi) e avvincenti (i romanzi). Non senza motivo, infatti, praticano una scrittura collettiva, evitano di apparire in televisione e sono esterni all’ambiente universitario: tutti questi fattori tendono a porre sempre in primo piano il testo (non l’autore), unica cosa è che realmente importante e che resta nel tempo.

    Devo ammettere che la mia conoscenza del collettivo è faccenda abbastanza recente, per cui mi riservo di ritornare su alcuni giudizi che esprimerò, nel caso siano dovuti ad una mia insufficiente conoscenza delle loro produzioni.

    Contenuto del volume

    L’ultima fatica di Wu Ming 4, “L’eroe imperfetto”, si struttura in una premessa e tre densi saggi: Da Camelot a Damasco, Un giorno a Maldon, L’eroe e la Dea: nel presentare le sezioni, per comodità di analisi, numererò le citazioni in ordine .

    Nella Premessa l’autore enuncia chiaramente la sua tesi:

    “Per quanto l’eroe rimanga indispensabile alle narrazioni, non è una figura scontata, ma inevitabilmente problematica, sfaccettata e contraddittoria” (p. 8, corsivi aggiunti).

    Finalità primaria del libro è quindi di

    “offrire uno spunto per uscire dalla falsa dicotomia a cui oggi ci si vorrebbe condannare: da un lato il preteso monopolio di ogni approccio epico narrativo da parte delle visioni confessionaliste e rozzamente ideologiche, le quali subordinano le storie a una prospettiva allegorica e teleologica; dall’altro il disincanto post-moderno e il minimalismo dell’uomo senza qualità” (p. 10).

    Il saggio Da Camelot a Damasco, è largamente dedicato alla figura di T. E. Lawrence (meglio noto come Lawrence d’Arabia), le cui vicende Wu Ming 4 conosce perfettamente, tanto dall’averne fatto uno dei protagonisti del romanzo Stella del Mattino (assieme a C.S.Lewis, J.R.R. Tolkien e R. Graves). Il saggio inizia con la “provocatoria” traduzione di Murray all’incipit della Poetica di Aristotele:

    “Qui tratteremo del Fare nel suo insieme e nelle sue forme, quale finalità abbia ciascuna di esse e come si debbano comporre i Miti affinché il Fare vada a buon fine” (p. 16).

    Segue un’articolata e interessante trattazione che intreccia Lawrence d’Arabia, i libri che più amava (tra cui “La Morte di Artù” di Thomas Malory) e le varie figure degli eroi, da Achille a Ulisse, da Beowulf a Robin Hood. In queste analisi l’autore si serve ampiamente dell’analisi di J.R.R.Tolkien sull’eroismo germanico, il cui limite maggiore, per l’autore de Il Signore degli Anelli, è l’orgoglio (ofermod) che, quandos smisurato, porta l’eroe ad anteporre l’onore alla collettività: questo lo rende una figura problematica e contraddittoria e non “tutta d’un pezzo”, come vorrebbe una lettura meno attenta ai dettagli perché ideologica:

    “è questo che hanno cercato di dirci gli antichi poeti mentre celebravano gesta degli eroi. Ci hanno messi in guardia dalla loro doppia, contraddittoria natura e dall’ambiguità del loro ruolo. Ci hanno messi in guardia da un certo tipo d’eroismo” (46).

    L’obiettivo (ambizioso) di Wu Ming 4 è poi subito enunciato:

    “Da secoli l’Occidente [...] continua cioè a raccontare e a raccontarsi lo stesso mito come unica narrazione possibile. E’ la storia di come l’Oriente abbia bisogno di essere salvato da sé stesso e di come l’eroico Occidente non possa sottrarsi al compito. [...] Ma se i Miti, come racconti performativi, hanno qualcosa a che spartire con i fatti - e io credo che sia così - allora non è sufficiente strappare la maschera con un atto di forza razionale. [...] Bisogna ricomporre i miti affinché il nostro fare vada a buon fine: scoprire una via alternativa da Camelot a Damasco e da Damasco a qualunque altro luogo” (p. 47).

    In Un Giorno a Maldon l’autore riprende queste tematiche, focalizzando però l’attenzione sul celebre episodio della Battaglia di Maldon del 991 d.C., dove il conte inglese Byrhtnoth, per uno smisurato orgoglio (ofermod) acconsente alla richiesta dei Vichinghi di passare un invalicabile guado per poter aver battaglia sulla medesima terraferma: proprio questo gesto causerà la sconfitta degli inglesi. L’analisi “psicologica” offerta da Borges dell’episodio viene intrecciata con la magistrale lettura di Tolkien, che secondo Wu Ming 4 arriva addirittura a criticare gli stessi modelli feudali, vista la fedeltà mal riposta dell’esercito all’ orgoglio di Byrhtnoth (che ricorda l’obbedienza dei soldati ai dissennati ordini dei generali nella battaglia della Somme, alla quale Tolkien ha partecipato) (p. 66-67). Il saggio si conclude con il paragrafo “I rinnegati di Maldon” dove lo jungeriano “darsi al bosco” da parte del ribelle viene indicato come via per raccontare in modo diverso i miti, visto che

    “noi interagiamo con le nostre narrazioni allo stesso modo in cui interagiamo col mondo che ci circonda, consapevoli che per cambiarlo abbiamo innanzitutto bisogno di raccontarlo diversamente” (p. 67).

    Il volume si conclude con il lungo e impegnativo saggio L’Eroe e la Dea, in cui Wu Ming 4 mira a rintracciare la sopravvivenza del divino femminile, così com’è stato elaborato da Robert Graves ne La Dea Bianca, entro la mitologia occidentale, da Aiace a Ulisse, da Artù a Galvano, da Eowyn a Sam Gamgee. Nella prima sezione (“Il Ridicolo”) Atena viene vista come personificazione della Dea, che dando le armi di Achille a Ulisse (un nuovo tipo di eroe), causa la follia di Aiace, il quale non sopportando il ridicolo si uccide. In questo “passaggio” (o mancato passaggio) delle armi vien visto

    “un viaggio di andata e ritorno da sé, ovvero di transito catartico attraverso un’alterità assoluta” (p. 88).

    E’ infatti la Dea (Atena) che presiede a questo viaggio/scambio,

    “rivelando la sua triplice natura: vergine divina, moglie generatrice, anziana divoratrice” (ibid.).

    Allo stesso modo Galvano viene visto come nuovo tipo di eroe, un cavaliere appunto imperfetto, che (evitando ad Artù lo scontro col Cavaliere Verde, da lui voluto per il medesimo orgoglio di Beowulf e Byrhtnoth), intraprende un viaggio in cui incontrerà (nelle sembianze di un’avvenente fanciulla) la medesima Dea Bianca, la quale, donandogli un nastro verde (segno di un piccolo cedimento passionale di Galvano, dovuto alle leggi della cortesia che prevalgono su quelle dell’etica cristiana) gli ricorderà per sempre di essere un eroe imperfetto.

    Nella “Nemesi”, secondo paragrafo dell’articolo, la Dea, viene vista all’interno del racconto piratesco di Steinback “Cup of Gold”, tradotto in italiano con il titolo “La Santa Rossa”, dove il protagonista è il pirata Henry Morgan che nelle sue peregrinazioni incontra la Dea (la Santa Rossa), ma diversamente da Galvano, non accetta la sua fallibilità e il potere che la Dea esercita su di lui (119). Sempre nella “Nemesi” viene citato Robert Graves:

    “Il Candore della Dea è sempre stato un concetto ambivalente. In un senso è la piacevole bianchezza dell’orzo perlato, del corpo femminile, del latte, o della neve intatta, ma in un altro senso è l’orribile pallore del cadavere, dello spettro e della lebbra” (p. 107)

    La terza parte (“La grazia”) è completamente dedicata alla mitologia tolkieniana. Wu Ming 4 vede la presenza della Dea in varie figure del Signore degli Anelli. Nel paragrafo 9 (il primo di questa sezione) Baccador vien vista come

    “emanazione positiva” (128)

    della Dea, nel seguente si dice che

    “Se Baccador incarna l’immagine terrena e naturale della Dea [...] Elbereth [...] corrisponde alla sua immagine celeste” (134)

    mentre

    “Galadriel rimanda facilmente a figure del mondo classico mediterraneo” (135) e in lei si ricompongono l’aspetto verginale e materno della Dea (141).

    Nel paragrafo 11 viene visto in tre personaggi (Gandalf, Aragorn, Frodo) il viaggio dell’eroe nell’Aldilà e il suo ritorno (142). Molto articolata è anche l’analisi di Sam, che nel Lord mostra di essere consapevole della circolarità fatti-miti quando vagheggia con Frodo della narrazione delle loro possibili gesta (e trova in questo motivo per compiere la sua missione); egli inoltre (contrariamente ad Aiace) conserva il ricordo del Bene (e accetta così la Dea) tanto da poter resistere alle tentazioni dell’Anello (p. 149). L’ultimo paragrafo è dedicato alla figura di Eowyn, che sfida il potere maschile della Terra-di-mezzo e, come genere femminile, uccide il Re Stregone ribaltando così il canone eroico tradizionale (155). La stessa Eowyn poi diventerà guaritrice quasi a dire (come il giardiniere Sam) che solo la Cura (e non l’eroe maschile perfetto) può realmente sanare il male dalle ferite (p.157). Questa:

    “è una versione dell’eroismo più antica di quella monolitica virile, in grado non solo di tenere in massimo conto l’ascendente femminile e la sua inesauribile forza, ma soprattutto di comprendere il cambiamento, la trasformazione di sé come strumento indispensabile al compimento dell’impresa, quindi all’evoluzione umana” (p. 158).

    Pregi

    Dal punta di vista tolkieniano, il volume ha un grande valore, perché riesce finalmente a far interagire Tolkien, sia come filologo (cfr. la sua analisi dell’ofermod) che come scrittore, con alcuni dei grandi classici della cultura, da Omero a Malory, da Steinback a Borges. è questa la “vera” dimensione di Tolkien che, pur essendo un autore anche per ragazzi, è a tutti gli effetti un classico, sia per longevità dell’opera che (soprattutto) per lo spessore della stessa.

    Grande merito di Wu Ming 4 è inoltre quello di essere un narratore, che però con “umiltà” (se mi si passa la parola) e dedizione non disdegna di studiare e analizzare altri narratori: proprio per questa sua duplice caratteristica credo che egli potrà dare un significativo contributo agli studi tolkienaini che, proprio sul versante dell’analisi narratologica, letteraria e poetica, sono ad oggi (nonostante qualche segnale positivo) estremamente deficitari.

    Il libro poi, essendo uno studio di alto livello, è molto documentato su tutti i versanti: ciononostante è scritto in maniera chiara ed accattivante, e solo questo sarebbe sufficiente per consigliarne la lettura.

    E’ inoltre un libro “impegnato”, ma non nel senso che solitamente viene usato per “etichettare” opere noiose e irrilevanti e che piacciono solo alla ristretta cerchia dei critici letterari. No, l’impegno di Wu Ming 4, che è poi quello comune al collettivo, risiede nel nesso circolare che loro intravedono tra fatti (Storia) e narrazioni (Miti) [cfr. citazioni 3, 5 e 6]:

    Storia→ Miti
    Una certa storia produce certi miti che producono una certa storia, e così via. Dunque, se si “fanno” Miti differenti si avrà anche una Storia differente, che produrrà Miti differenti....

    Proprio su questo piano, l’analisi che Wu Ming 4 ci offre delle conversazioni tra Frodo e Sam circa il loro possibile inserimento nelle canzoni popolari (Miti) proprio mentre stanno “facendo” la Storia della Terra-di-mezzo (pp.144-150) è, a mio giudizio, semplicemente magistrale.

    Insomma, L’Eroe Imperfetto è un volume davvero pregevole sotto tutti i punti di vista, certamente meritevole di una seria e attenta lettura, e questo indipendentemente da alcuni “punti problematici”, se così posso chiamarli, che ho ravvisato nell’opera e che riassumo di seguito.

    Punti problematici:

    Prima di tutto (ma questa critica riguarda più Graves che Wu Ming 4, e può dipendere anche da una mia scarsa conoscenza della materia), mi è risultato molto sfuggente, perché contraddittorio, il concetto della Dea. Ora, è chiaro che se qualcosa è contraddittorio, allora lo si può ritrovare ovunque. La logica ci insegna infatti che data una contraddizione (A e non-A),qualsiasi frase (P) è dimostrabile: è infatti ovunque vera la legge del calcolo proposizionale

    Se (A e non-A) allora P

    E contraddittorio risulta proprio essere il concetto di Dea Bianca, che può essere sia terrena che celeste [11], sia vergine che madre [8, 12],sia piacevole che orribile [9] e via di seguito. Wu Ming 4 in effetti ci mostra come le tracce di questo archetipo letterario (perché di questo si tratta: non siamo certo davanti un fautore del religioso “femminino sacro” come egli stesso precisa [p. 158, nota 1]) sono rintracciabili quasi ovunque: ma questo non è forse proprio dovuto all’ambiguità del concetto, alla sua contraddittorietà?

    Altra critica che mi permetto di rivolgere all’autore è di natura più “metodologica”. Nella premessa Wu Ming 4 dichiara infatti di voler evitare le interpretazioni che “subordinano le storie a una prospettiva allegorica” [cit. 2, p. 10] e non posso che condividere questo intento. Tuttavia soprattutto nel terzo saggio, si ritrovano tracce di questa lettura allegorica, visto che alcuni personaggi non sono visti nella loro “individualità concreta”, ma in quanto “rimandi”, “immagini”, “corrispondenze” o “figure” di altro (nel caso: la Dea) [citazioni 10, 11, 12].

    Vorrei infine segnalare come punto problematico un aspetto di tipo più “contenutistico” che riguarda il nesso Tolkien/Cristianesimo, tema questo enorme che meriterebbe uno studio a sé stante. Che Tolkien sia sul piano biografico un cristiano (cattolico) è un banalissimo dato di fatto, che nessun autore serio (e tra questi includo di certo Wu Ming 4) ha mai messo in discussione. Molto più aperto è invece il dibattito circa il nesso tra “opera tolkieniana” e Cristianesimo. da questo punto di vista si possono dividere le interpretazioni a seconda che ravvisino una prevalenza dell’elemento cristiano o pagano.

    Venendo all’Eroe Imperfetto, io credo che la dichiarazione di intenti iniziale dell’autore [cit. 2], che rifiuta letture allegorizzanti e confessionaliste, si riferisca implicitamente anche a tutte quelle letture cristiane dell’opera tolkieniana nelle quali i personaggi sono visti come immagini o emanazioni di elementi appartenenti a tale religione: Frodo rimanda a Cristo, Galadriel è figura di Maria, il Lembas è immagine dell’Eucarestia, tanto per ricorda le più comuni estrapolazioni presenti in molti studi “confessionali”. Tutte queste letture, a mio avviso, non sono tuttavia interpretazioni ma, per dirla con Tolkien, sono applicazioni (peraltro legittime) di alcuni elementi dell’opera che il lettore può fare nella propria vita. Ma, come insiste ripetutamente Tolkien, altro è l’applicazione e altro l’interpretazione di un’opera, la quale prima di tutto parla di sé stessa. Il che vuol dire che, prima di imporre nessi applicativi (sempre estrinseci) al testo, occorre innanzitutto “starci dentro” per scoprirne tutta la ricchezza, l’architettura sottesa e i “meccanismi” letterari che lo sorreggono.

    Spesso Wu Ming 4 riesce mirabilmente in questa impresa (come abbiamo già visto sopra per Frodo, Sam e il nesso fatti-storia). E tuttavia, forse per un’eccessiva reazione alle allegorizzazioni religiose, finisce per eliminare sostanzialmente dall’analisi ogni riferimento alle tematiche cristiane presenti nell’opera tolkieniana. Non credo tuttavia che si possa comprendere appieno la profondità di scritti come Il Signore degli Anelli o Il Silmarillion, trascurando tali elementi, che emergono dal testo con una forza almeno pari ai contenuti pagani del medesimo: insomma, per dirla con un proverbio popolare, bisogna stare attenti a non gettar via il bambino con l’acqua sporca.

    Mia convinzione personale in merito, è che all’interno degli studi tolkieniani manchi ancora una criterio “forte” di lettura che in qualche modo faccia “tornare i conti” ovvero che riesca a rendere davvero ragione di come e perché nelle opere di Tolkien sono entrambe le dimensioni (pagana e cristiana), senza però eliminare l’una o l’altra, il che priverebbe in ogni caso il Legendarium del suo fascino: ma questa, come si suol dire, è un’altra storia.

    Edited by ;Fairytale» - 21/4/2023, 20:57
     
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