Tolkien, l'ultimo dei romantici

Saggio di Roberto Paura

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  1. thelordoftherings
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    Tolkien, l'ultimo dei romantici
    In un passo de Lo Hobbit, verso gli inizi della storia, Bilbo Baggins ascolta una canzone dei Nani che narra di monti e città lontane colmi di tesori e ricchezze: «Mente cantavano lo hobbit… desiderò di andare a vedere le grandi montagne, udire i pini e le cascate, esplorare le grotte e impugnare la spada al posto del bastone da passeggio»: queste sensazioni si destano improvvisamente nell’animo abitudinario e tranquillo di Bilbo. In un passo del Signore degli Anelli è Frodo a provare un improvviso, bruciante desiderio: vedere il mare, la sconfinata distesa d’acqua da lui mai veduta oltre la quale c’è il paradiso perduto degli Elfi, Valinor. Il sentimento provato dai nostri eroi in queste situazioni è un sentimento che trasmettono anche al lettore, è un sentimento che proviene dall’intimo dell’animo dello scrittore, di J.R.R. Tolkien: è il sublime. Il concetto del sublime, teorizzato innanzitutto da Immanuel Kant nella Critica del giudizio seguendo l’intuizione di Edmund Burke, è uno dei cardini del pensiero romantico. Il sublime oltrepassa il bello, è un sentimento che annichilisce le facoltà raziocinanti, un sentimento che proviene dai recessi della coscienza: «Sono sublimi le alte querce, belle le aiuole; la notte è sublime, il giorno è bello», è una delle definizioni kantiane. Sublime connesso ad un altro concetto cardine, forse quello centrale di tutto il romanticismo: l’infinito. Il desiderio di Bilbo e quello di Frodo non è rivolto a un oggetto particolare, ma a un soggetto indefinito, sconfinato, senza limiti… Frodo vuole vedere il mare, vuole contemplare l’infinità vastità dell’oceano.

    Si è spesso detto che Il Signore degli Anelli (così come le opere “minori” di Tolkien ambientate nella Terra-di-Mezzo) sia una sorta di poema epico medioevale. Un’asserzione che può essere facilmente corroborata da prove: l’ambientazione, la prosa aulica e l’uso di alcune formule fisse appartenenti al bagaglio epico in taluni punti dell’opera, il fatto stesso che Tolkien fosse uno studioso di letteratura medioevale. Ma ad un’analisi più attenta ed approfondita questa tesi si rivela erronea. Lungi dall’essere un’opera di gusto epico, sorta di tentativo di riproporre le gesta degli eroi medioevali partendo magari dall’esempio dello stesso Beowulf tanto a lungo studiato da Tolkien, Il Signore degli Anelli è un romanzo, un romanzo moderno oltretutto, che però affonda le sue radici in un pensiero e in un gusto più remoti, e per la precisione nell’ideologia romantica. Tolkien fu sicuramente uno degli ultimi grandi romantici che la storia della letteratura può annoverare, insieme al suo amico C.S. Lewis e quindi al gruppo degli Inklings di cui facevano parte. Grandi sognatori in un mondo in rapido mutamento, legati a tradizioni di un passato cronologicamente non troppo lontano ma in quei tempi già sentito come distante, Tolkien e i suoi colleghi scrittori svilupparono un sentimento di rigetto verso il mondo in cui vivevano (lo si riscontra facilmente nello scetticismo di Tolkien verso le innovazioni tecnologiche) decidendo di rifugiarsi in un mondo diverso, che rispettasse regole precise da loro delineate che appunto rispondevano ai propri gusti. Fu lo stesso motivo che spinse i romantici, nei primi dell’Ottocento (cioè circa un secolo prima), disgustati dal trionfo della rivoluzione industriale e dalla strada materialistica presa dal tardo illuminismo, a rifugiarsi in un mondo più mistico e fantastico, anelando anche un ritorno alle tradizioni del passato, principalmente a quelle del Medioevo dominato dal leggendario e dall’amor cortese. «Le fiabe parlano di fulmini, non di lampadine», era l’opinione di Tolkien. Le fiabe sono fatte non di oggetti materiali, ma della materia “di cui sono fatti i sogni”. E’ l’irrazionale, l’indefinito, l’immateriale ad essere alla base del romanticismo, come lo è alla base dell’immaginario fantastico sviluppato compiutamente da J.R.R. Tolkien.

    L’opera di Tolkien è ambientata in un mondo di gusto tipicamente medioevale. Oggigiorno una simile ambientazione è norma nella produzione fantasy, ma all’epoca del Signore degli Anelli – quando il fantasy non esisteva ancora – questa scelta fu originale. Cos’è il medioevo di Tolkien? E’ un espediente letterario, una mera riproduzione scientifica di un periodo che ha nell’autore del Signore degli Anelli uno dei più profondi conoscitori? Non è piuttosto il prodotto di uno specifico richiamo, quello del sentimento e dell’eroismo, del valore, del coraggio, dell’amore, della magia e del leggendario? Sono questi concetti che Tolkien vuole riproporre nella sua opera: non il periodo medioevale com’esso è, ma la sua rilettura in chiave romantica. Medioevo come periodo in cui domina la spiritualità, dove l’etica si allinea su concetti autentici e non materialistici, dove la fredda razionalità non ha ancora infranto i sogni evocativi di draghi, poteri arcani e luoghi incantati. Così come un grande romantico, il compositore Richard Wagner, aveva ambientato le sue opere sinfoniche in una Germania medioevale, quella di Sigfrido, o di Parsifal, o del Lohengrin e del Tannhauser, dominate dalla spiritualità degli dei nordici, la Terra-di-Mezzo di Tolkien è un mondo idealizzato, un mondo che non a caso combatte contro l’osceno potere di Mordor, fatto di macchine, ingranaggi, devastazione della natura ai fini di un’industrializzazione che ha come unico scopo quello bellico. Questa è la vera guerra combattuta nel Signore degli Anelli, la guerra che Tolkien combatte insieme ai suoi eroi nelle pagine dell’opera: spiritualità contro materialismo.

    Spiritualità vista anche come ritorno a una religione naturale. Profondamente cristiano, Tolkien epura dal Signore degli Anelli ogni riferimento a una teologia (evitando anche di riconoscere paragoni evidenti come quello tra Galadriel e la Madonna) e favorisce la credenza in una spiritualità più effimera. E’ la stessa religiosità che romantici come Schelling, Fichte e Goethe celebrano nell’unità tra spirito e natura. Alcuni commentatori hanno visto negli scritti di Tolkien un messaggio “ecologista”. Si sbaglia a interpretare il ruolo della natura nel Signore degli Anelli in termini così moderni. L’amore di Tolkien per la natura, che traspare quasi in ogni pagina delle sue opere, è un amore più intensamente legato a una visione mistica della natura, la naturphilosophie del romanticismo. Lo si vede negli Ent, i millenari e saggi uomini-albero che si ribellano contro lo scempio di Saruman; la natura, primitiva e custode di poteri ancestrali, afferma in questo passo chiarificatore la sua supremazia sul dirompente affermarsi del mondo moderno. Al termine della storia, Samvise tornato a casa nella Contea pianta nel suo giardino il seme donatogli dalla dama elica Galadriel: sboccia così nel prato l’albero più bello che si sia mai visto nella Terra-di-Mezzo da lungo tempo. Questo simbolismo, insieme a quello della risurrezione dell’albero bianco di Minas Tiritih da tempo appassito, ribadisce la superiorità del valore della natura, che rifiorisce quando il male è distrutto. «La Natura deve essere lo Spirito visibile, lo Spirito la Natura invisibile», afferma Schelling. «Qui dunque, nell’assoluta unità dello spirito in noi e della natura fuori di noi, si deve risolvere il problema come una natura sia possibile fuori di noi». Unità di spirito e natura: la natura è viva e rigogliosa quando lo è l’uomo, e viceversa. Nel Silmarillion Melkor distrugge i due alberi d’oro e d’argento di Valinor, e l’oscurità e la disgrazia calano sul reame beato. Altra metafora della sintesi dei due concetti sopra indicati. Nella Vecchia Foresta gli alberi sono vivi, camminano e pensano. E’ dunque nella natura che i personaggi del Signore degli Anelli trovano quella spiritualità che in Tolkien va a porsi in parallelo alla religiosità, e che nella Terra-di-Mezzo apparentemente sostituisce quest’ultima.

    Si diceva precedentemente che nel Signore degli Anelli domina il tema romantico per eccellenza, quello dell’infinito. Tutti i personaggi devono confrontarsi con qualcosa più grande di loro, qualcosa che schiaccia le loro piccole individualità e travalica le loro possibilità. «Mi sento stiracchiato, come del burro spalmato su troppo pane» afferma Bilbo a Gandalf riguardo il logoramento provocato dall’Anello. Galadriel, dinanzi alla possibilità offertagli da Frodo di diventare portatrice dell’Anello, si trasfigura lasciando scorgere l’onnipotenza che così le deriverebbe. Sono due diversi modi che il desiderio di “infinito”, di “completezza”, di “riunione con lo spirito” provoca negli animi dei personaggi dell’opera. Due modi diversi che nell’ideologia romantica sono chiamati Sensucht e Streben (o Titanismo). Vediamone meglio l’impatto nel Signore degli Anelli.

    La sehnsucht è il sentimento prevalente nell’opera. Quella che il filosofo Hegel spregiativamente chiamava “la pappa del cuore” era l’atteggiamento tipico dell’ambiente romantico tedesco per tutta la prima metà dell’Ottocento. Termine introdotto dai fratelli Schlegel, etimologicamente vuol dire “smania del desiderare”: è, insomma, il tormento, la costante frustrazione, insoddisfazione per l’assenza di qualcosa. E’ il sentimento che devasta l’animo di Bilbo e in particolare di Frodo, che diventano dipendenti dall’Anello e senza di esso provano una costante irascibilità e depressione derivante dalla mancanza di completezza. E’ l’Anello, in Tolkien, l’Assoluto tanto ricercato dai romantici, quell’entità astratta (da molti identificata con Dio) senza la quale l’uomo si sente oppresso e impotente. Non è un caso che quando l’Anello sarà distrutto gli Elfi saranno costretti a partire definitivamente dalla Terra-di-Mezzo poiché anch’essi, custodi dei tre anelli elfici a loro volta derivanti dall’Unico, sono divorati dalla continua brama di assoluto. Non è brama di potere, o almeno non va letta solo in questo senso. E’ l’atteggiamento tipico degli asceti medioevali che si sentivano vuoti senza la presenza di Dio e bramavano di abbandonare la propria corporeità per fondersi con Esso (com’è anche in una similitudine hegeliana). Dunque, è l’atteggiamento abbandonato, di disinteresse della vita che domina le pagine di due opere romantiche quali I dolori del giovane Verther di Goethe e le Ultime lettere di Jacopo Ortis del nostro Foscolo: pagine in cui i protagonisti si sentono devastati da una vuotezza interiore che li conduce all’inevitabile suicidio. E’ l’atteggiamento che domina gli Elfi della Terra-di-Mezzo. Dopo aver vissuto migliaia di anni, hanno perso ogni interesse per la vita e decidono di abbandonare le loro terre per tornare nel reame beato di Valinor, il paradiso in terra dove vivranno per l’eternità alla presenza dei Valar, le potenze angeliche che rappresentano l’Assoluto romantico. Frodo sarà costretto a fare lo stesso quando, privato dell’Anello, non potrà più vivere nella Contea ma partirà anch’egli per il reame beato, che forse per lui rappresenta la morte, ultima sponda dove il proprio animo tormentato potrà trovare pace. Questo tema è stato brillantemente intuito dai critici L. Del Corso e P. Pecere nel loro L’anello che non tiene. In un capitolo del loro lavoro, dove dimostrano come Il Signore degli Anelli non sia un’epica ma un romanzo antiepico, affermano: «Un senso crepuscolare, di nostalgia per un tempo irrimediabilmente distante pervade l’opera, e anche le gesta più eroiche sono presente come l’estremo, pallido riflesso di un mondo al tramonto». Aragorn è schiacciato dal peso del suo antenato Isildur, Boromir è schiacciato dal peso di suo padre Denethor. Grandi uomini con cui confrontarsi in un paragone impari. Lo stesso paragone che contrapponeva i medioevali alla grandezza degli uomini dell’età classica: “nani sulle spalle di giganti”, era l’idea del tempo. La Sehnsucht è dunque anche nostalgia verso il passato, come abbiamo avuto modo di vedere parlando del medioevo.

    Al tema della sehsucht è connesso il tema del viaggio, altra costante per eccellenza del romanticismo letterario. Il fascino dell’esotico, dell’oriente, dell’evasione è ben rappresentato dalla frase di Bilbo riportata all’inizio “desiderò… impugnare la spada al posto del bastone da passeggio”. Una grande opera romantica, l’Enrico di Ofterdingen di Novalis, è dominata dal tema del viaggio. Viaggio iniziatico, certo, ma non solo, e non viaggio di formazione (i romantici aborrono l’idea di un progresso insito nella storia umana). Il viaggio è evasione, fuga dalla realtà: non per nulla, gli hippy degli anni ’60 trovarono nel Signore degli Anelli la loro riposta alla domanda di fuga dal mondo reale. Ancora Del Corso e Pecere intuiscono questo tema: «i viandanti – prima gli hobbit, poi tutta la compagnia dell’anello», affermano. La scelta del termine viandante non è casuale. Il viaggiatore romantico non viaggia per uno scopo ma vaga, è un errante. Viandante è Aragorn, ‘Grampasso’, un Ramingo appunto, che vaga per la Terra-di-Mezzo senza un preciso perché, in realtà spinto dal vuoto interiore derivante dal peso che porta sulle spalle. Anche Gandalf è un viandante, il Grigio Pellegrino appunto. Vaga anch’egli, forse sempre in cerca di quella sfida che lo potrebbe portare ad elevarsi al di sopra della sua condizione, come accadrà solo dopo la sfida col Balrog quando tornerà nel mondo dei vivi come Gandalf il Bianco. Infine, vagano i membri della Compagnia dell’Anello, apparentemente spinti dal compito di proteggere il portatore e distruggere l’Anello, in realtà ognuno dominato da un proprio impulso: Aragorn e Boromir, già si è detto, così come per Gandalf; Gimli è spinto dal desiderio di ammirare la grandezza di Khazad-Dum; Legolas cerca la pace di Lothlorien; gli hobbit cercano l’avventura, Frodo a parte naturalmente, ma troveranno qualcosa di completamente diverso da quello che si aspettavano.

    Sempre alla sehnsucht sono connesse altre tematiche romantiche fondamentali. Il binomio amore/morte, e il fascino della notte, altri temi cari a Novalis (non per nulla definito il principale dei romantici). L’amore di Novalis per Sofia, l’amata che naturalmente morirà giovanissima portando Novalis alla consunzione e alla sua conseguente morte a soli ventinove anni, è l’esempio perfetto del binomio romantico amore/morte. E’ ciò che vediamo nel rapporto tra Aragorn ed Arwen. Arwen rinuncia all’immortalità per amore di Aragorn, e si lascia morire dopo la scomparsa dell’amato marito in tarda età. Stesso tema nel Silmarillion tra Beren e Luthien, che addirittura risorgono dalla morte per coronare il loro amore. Notte, poi, si diceva. Notte connessa all’idea dell’oscurità, contrapposta alla luce dell’illuminismo che rende i contorni troppo netti, mentre l’oscurità rende tutto più incerto, indistinto e crea spettri e impressioni. Novalis scrive gli Inni della Notte, Tolkien ripropone il concetto nell’episodio della Vecchia Foresta – in cui gli hobbit sperimentano il classico topos del bosco che assume fattezze umane nella notte – e nella tenebrosa vicenda di Moria, dove le fiamme del Balrog assumono contorni agghiaccianti e il pozzo senza fondo in cui Pipino fa cadere il sasso per saggiarne la profondità sono simboli di angosciante indeterminatezza.

    Parlavamo prima di due modi di contrapporsi all’infinito. Abbiamo visto la sehnsucht, ma si è citato anche lo streben, o titanismo. Goethe lo chiama “faustismo” associandolo alla figura del Faust, Nietzsche lo chiama appunto titanismo ma modificandone leggermente il significato romantico. E’ questo l’atteggiamento contrapposto alla sehnsucht. Se la prima era cupa rassegnazione all’impossibilità di raggiungere l’Assoluto, questo è il tentativo dell’uomo di ergersi al di sopra delle sue possibilità per fondersi col tutto. In questo caso lo streben assume il più delle volte connotazioni negative, essendo assimilato al concetto di desiderio di potere, lo stesso che domina il Faust goethiano. E’ il sentimento che corrode l’animo di Sauron, che brama l’Anello per poter diventare superiore e completo ed avere il potere su tutto il mondo; è il sentimento che intravediamo in Galadriel quando riceve l’offerta di Frodo; è il sentimento che Gandalf teme quando gli viene fatta la stessa offerta, che rifiuta perché sa che con quel potere andrebbe al di là dei limiti consentiti dalla natura peccando di hubris. Peccano invece Saruman, Boromir e Denethor. Il primo per paura di essere soggiogato a Sauron, e per oscuro desiderio di supremazia. Il secondo e il terzo per un desiderio più onesto, quello di usare il potere dell’Anello per salvare il proprio popolo. Non si rendono essi tuttavia conto che l’Anello, proprio perché va contro natura, non provoca altro che morte e distruzione, annientando l’animo di chi lo usa e portando gli uomini alla follia: Boromir e Denethor seguono il destino di Isildur, convinti che il potere dell’Anello possa essere usato per fini postivi e venendo colpiti invece dalla punizione naturale.

    Tolkien fu un romantico, non vi è dubbio. Il fascino della sua opera è connesso a tutti questi elementi – sopra discussi – che hanno fatto la fortuna delle opere del romanticismo. Ciò che più va notato è che il fascino del meraviglioso e l’idea di sub-creazione poetica come massima esternazione delle potenzialità umane sono concetti che hanno le loro basi proprio nel romanticismo. Novalis la chiamava “immaginazione produttiva”, ritenendo come Fiche e Schelling che la realtà fosse un prodotto dell’animo umano. “L’immaginazione al potere”, un concetto caro ai romantici (e ai giovani del ’68), che Tolkien ha fatto suo creando un universo con la sua immaginazione. Novalis è dell’idea che «il più gran mago sarebbe chi sapesse incantare se stesso fino al punto che le sue stesse magie gli apparissero fenomeni estranei». La magia di Tolkien, la creazione da lui prodotta, ha incantato lui stesso e noi tutti, e per questo risponde a quell’immaginazione produttiva o idealismo magico che Novalis riteneva, giustamente, risiedesse nella capacità poetica di creare dell’essere umano.


    Crediti di © fabbricanti di universi

    Edited by ;Fairytale» - 22/4/2023, 16:09
     
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