J.R.R.Tolkien ed il cattolicesimo, a partire dal suo epistolario

Saggio di Andrea Lonardo

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. thelordoftherings
        Top   Dislike
     
    .

    User deleted


    J.R.R.Tolkien ed il cattolicesimo, a partire dal suo epistolario. Il cristianesimo come chiave interpretativa de Il Signore degli Anelli

    di Andrea Lonardo


    Dio è il Signore, degli angeli, e degli uomini – e degli elfi... Nel regno di Dio la presenza di ciò che è più grande non schiaccia ciò che è più piccolo. L’Uomo redento è ancora uomo. Il Racconto, la fantasia, continuano ancora, e dovrebbero continuare. L’Evangelium non ha abrogato le leggende; le ha santificate, specialmente nel “lieto fine”. Il cristiano deve ancora operare, con la mente come con il corpo, deve soffrire, sperare, e morire; ma ora può percepire che tutte le sue predisposizioni e facoltà hanno uno scopo, che può essere redento. Così grande è stata la liberalità con cui è stato trattato che ora egli può, forse, a ragion veduta supporre che nella Fantasia può effettivamente assistere al germogliare e al molteplice arricchimento della creazione. J.R.R.Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, pag.229.

    Così J.R.R.Tolkien ha scritto dell’intimo rapporto tra la creazione fantastica e la realtà della salvezza cristiana. Vogliamo seguirlo nei suoi espliciti riferimenti al cristianesimo, disseminati nel suo epistolario e nei suoi scritti di storia della letteratura, per rileggere poi da questo punto di vista Il Signore degli Anelli, senza caricarne i singoli personaggi di significati illegittimi, ma, piuttosto, contemplandone l’insieme, a partire dalla prospettiva del suo autore.


    Tolkien, scrittore cattolico in un ambiente anglicano

    La fede cattolica di Tolkien, ricevuta dalla madre, ci appare nell’epistolario come una scelta consapevole e riflessa, anche a motivo dell’ambiente a maggioranza anglicana, nel quale si trovava a vivere nell’Inghilterra di allora. Ecco come ci presenta il valore della tradizione cattolica, attraverso l’immagine della vita stessa che cresce e si sviluppa:

    I “protestanti” cercano nel passato la “semplicità” e il rapporto diretto che, naturalmente, benché presenti degli aspetti positivi o per lo meno comprensibili, è uno sbaglio inutile. Perché il “cristianesimo primitivo” è e rimarrà, nonostante tutte le ricerche, in gran parte ignoto; perché la “primitività” non è garanzia di valore ed è ed era per lo più riflesso di ignoranza. Gravi abusi erano un elemento del comportamento liturgico cristiano agli inizi come adesso. (Le restrizioni di San Paolo a proposito dell’eucarestia valgono a dimostrarlo!) Inoltre la “mia chiesa” non è stata concepita da Nostro Signore perché restasse statica o rimanesse in uno stato di eterna fanciullezza; ma perché fosse un organismo vivente (come una pianta), che si sviluppa e cambia all’esterno in seguito all’interazione fra la vita divina tramandatale e la storia – le particolari circostanze del mondo in cui si trova. Non c’è alcuna somiglianza tra il seme di senape e l’albero quando è completamente cresciuto. Per quelli che vivono all’epoca della sua piena crescita è l’albero che conta, perché la storia di una cosa viva fa parte della vita e la storia di una cosa divina è sacra. I saggi sanno che tutto è cominciato dal seme, ma è inutile cercare di riportarlo alla luce scavando, perché non esiste più e le sue virtù e i suoi poteri ora sono passati all’albero. Molto bene: le autorità, i custodi dell’albero devono seguirlo, in base alla saggezza che posseggono, potarlo, curare le sue malattie, togliere i parassiti e così via. (Con trepidazione, consapevoli di quanto poco sanno della sua crescita!) Ma faranno certamente dei danni, se sono ossessionati dal desiderio di tornare indietro al seme o anche alla prima giovinezza della pianta quando era (come pensano loro) bella e incontaminata dal male. L’altro motivo (che ora è così confuso con la tentazione primitivistica, anche nelle menti dei riformatori): aggiornamento; ammodernamento; anche questo presenta dei pericoli, come la storia ha dimostrato. Con questo aspetto si è confuso anche l’ “ecumenismo”.
    Io guardo con favore a quegli sviluppi che sono strettamente “ecumenici”, cioè tesi verso quegli altri gruppi o quelle Chiese che si definiscono (e spesso lo sono davvero) “cristiani”. Abbiamo pregato molto per la ritrovata unità dei cristiani, ma è difficile vedere, se ci si pensa, come possa realizzarsi se non nel modo in cui si tenta di realizzarla adesso, con tutte le inevitabili assurdità secondarie. Un aumento della “carità” sarebbe un vantaggio enorme. In quanto cristiani i fedeli al Vicario di Cristo devono mettere da parte i risentimenti che provano in quanto essere umani per esempio nei confronti delle sfrontatezze dei nostri nuovi amici (specialmente quelli della Chiesa d’Inghilterra). Ora si viene spesso lodati come rappresentanti di una Chiesa che ha visto l’errore dentro di sé, ha abbandonato la propria arroganza e il separatismo; ma non ho ancora incontrato un “protestante” che dimostri o esprima consapevolezza dei motivi che hanno causato il nostro comportamento, vecchi e nuovi: dalla tortura e dall’espropriazione fino a “Robinson” e cose del genere. E’ mai stato detto che i cattolici romani soffrono ancora per restrizioni che non vengono applicate più nemmeno agli Ebrei? Mi è difficile tutto questo, dato che la mia infanzia è stata oscurata dalla persecuzione. Ma la carità deve perdonare un mucchio di peccati! Ci sono dei rischi (naturalmente), ma una Chiesa militante non può pensare di chiudersi dentro una fortezza con tutti i suoi soldati. Una cosa del genere ha avuto pessime conseguenze sulla linea Maginot.
    Da una lettera a Michael Tolkien, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pagg.442-443.

    Dalle lettere traspare il deprezzamento pregiudiziale al quale il cattolicesimo è sottoposto negli ambienti universitari. L’amarezza di Tolkien è ancora maggiore perché la critica non si arresta neanche quando la guerra sta per sfiorare la città del Papa ed il Pontefice è in pericolo:

    E’ sempre più doloroso man mano che gli eserciti si avvicinano a Roma sentire i commenti grossolani di vecchi e sciocchi signori. Trovo la situazione attuale sempre più penosa. Mi chiedo se ti sia mai capitato di sentire qualche discorso del papa...
    Seduto accanto a me, il direttore ha detto a voce alta: “Grazie al cielo che non hanno eletto al rettorato un cattolico romano: disastroso, disastroso per il College”. “Sì, davvero”, gli ha fatto eco il dr.Ramsden, “disastroso”. Il mio ospite mi ha guardato e ha sorriso e ha sussurrato: “Che modelli di tatto e di cortesia!”
    Dalla lettera a Christopher Tolkien del 31 maggio 1944, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.98

    Anche l’amico Clive Staple Lewis Proprio C.S.Lewis è stato, comunque, colui che, credendo a Il Signore degli Anelli man mano che Tolkien glielo raccontava nella fase di gestazione, ha convinto Tolkien a portare a termine l’opera, come Tolkien stesso ci ricorda: Primo comunicato dall’iscritto di Longbottom... Il debito impagabile che io ho nei suoi confronti (N.d.R. di C.S.Lewis) non è tanto un’influenza come la si intende di solito, quanto il puro incoraggiamento. A lungo è stato il mio unico pubblico. Solo lui mi ha messo in testa l’idea che la mia roba poteva essere qualcosa di più di un divertimento privato. Se non fosse stato per il suo interessamento e per l’incessante bramosia di saperne di più non avrei mai portato a termine Il Signore degli Anelli (dalla lettera del 12 settembre 1965 alla T.S.A. (Tolkien Society of America), in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.407) , anglicano e apologeta del cristianesimo, appare a Tolkien non scevro da pregiudizi sul mondo cattolico. In una lettera lo descrive, mentre entrambi si trovano ad ascoltare testimonianze oculari dei massacri di preti cattolici nella guerra di Spagna:

    Le reazioni di C.S.L. C.S.Lewis. sono state strane. Niente giova di più alla propaganda rossa quanto il fatto che lui (che sa come siano per quanto riguarda tutto il resto mentitori e calunniatori) crede a tutto quello che viene detto contro Franco e a niente di quello che viene detto in suo favore. Persino il discorso pubblico di Churchill in Parlamento l’ha lasciato indifferente. Ma l’odio contro la nostra chiesa è dopo tutto... così profondamente radicato che resta anche quando le sovrastrutture sembrano rimosse (C.S.L. per esempio rispetta i Santi Sacramenti, e ammira le monache!). Tuttavia se un luterano viene messo in prigione lui protesta; ma se i sacerdoti cattolici vengono massacrati, lui si rifiuta di crederci (e oso dire che in realtà pensa che se lo siano meritato). Ma R.C. Roy Cambell, poeta, combattente nella guerra di Spagna (aveva - racconta Tolkien – salvato in un primo momento a Barcellona alcuni carmelitani che erano poi stati, invece, lo stesso massacrati dai “rossi”), convertitosi al cristianesimo l’ha un po’ scosso. Dalla lettera a Christopher Tolkien del 6 ottobre 1944, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.112

    Per Tolkien, l’incontro con un solo prete cattolico che gli ha aperto la via alla conoscenza della fede cristiana, vale più di tutti i contro-esempi che ben conosce:

    Quando penso alla morte di mia madre (era più giovane di Prisca), stremata dalle persecuzioni, dalla povertà e dalle conseguenti malattie, nello sforzo di trasmettere a noi ragazzi la fede, e quando ricordo la minuscola camera da letto che dividevamo, affittata nella casa di un postino a Renal, dove lei morì tutta sola, troppo malata per ricevere l’estrema unzione, trovo molto duro e amaro il fatto che i miei figli si allontanino (dalla Chiesa). Naturalmente Canaan sembra diversa a quelli che l’hanno raggiunta provenendo dal deserto, e gli ultimi abitanti di Gerusalemme possono sembrare spesso degli sciocchi o delle canaglie, o peggio. Ma in hac urbe lux solemnis In questa città una luce solenne mi è sempre sembrato vero. Ho conosciuto “nel corso delle mie peregrinazioni” sacerdoti tabacconi, stupidi, che trascuravano i propri doveri, presuntuosi, ignoranti, ipocriti, pigri, brilli, dal cuore duro, meschini, cinici, avidi, volgari, snob e persino (a occhio e croce) immorali; ma per me un solo fratello Francis li compensa tutti e in fondo lui era un Tory gallese-spagnolo della classe alta e ad alcuni sembrava solo un vecchio snob pettegolo e borbottante. Lo era e non lo era. Da lui ho imparato soprattutto la carità e la capacità di perdonare; e con questi insegnamenti ho superato persino l’oscurità “liberale” da cui provenivo, conoscendo molto meglio il Bloody Mary che la Madre di Gesù – che non era mai stata menzionata se non come oggetto di una venerazione sbagliata da parte dei cattolici romani. Dalla lettera a Michael Tolkien del 9-10 gennaio 1965, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.398.

    Il riferimento alla testimonianza di padre Francis si sostanzia dell’amore che Tolkien ha sempre portato ai sacramenti cattolici ed è dinanzi ad essi che si domanda se è stato un buon padre:

    Tu parli di “caduta della fede”, tuttavia. Questa è tutta un’altra cosa. In ultima analisi, la fede è un atto di volontà, ispirato dall’amore. Il nostro amore può raffreddarsi e la nostra volontà può essere indebolita dallo spettacolo dei difetti, della follia e persino dei peccati della Chiesa e dei suoi ministri, ma non penso che chi una volta ha avuto fede la perda per questi motivi (meno che mai uno che possieda una conoscenza storica). Lo “scandalo” al massimo è occasione di tentazione – come l’indecenza lo è della brama, non la crea dal nulla, ma la fa manifestare. E’ comodo perché distoglie gli occhi da noi stessi e dalle nostre colpe e ci fornisce un capro espiatorio. Ma l’atto di volontà della fede non è l’unico momento di una decisione finale: è un atto permanente che si ripete, una situazione che deve durare – così noi preghiamo per la “perseveranza conclusiva”. La tentazione di “non credere” (che in realtà significa il rifiuto di Nostro Signore e delle Sue richieste) è sempre dentro di noi. Una parte di noi anela a trovare una scusa fuori di noi per mollare. Più forte è questa tentazione interiore più facilmente e più severamente saremo scandalizzati dagli altri. Penso di essere tanto sensibile quanto te (o qualsiasi altro cristiano) di fronte agli scandali, siano essi del clero che dei laici. Io ho sofferto dolorosamente nella mia vita a causa di preti stupidi, stanchi, ignoranti o persino cattivi; ma ora mi conosco abbastanza bene da sapere che non lascerò la Chiesa (che per me significherebbe lasciare l’alleanza con Nostro Signore) per una qualsiasi di queste ragioni: la lascerei se non credessi, e non crederei nemmeno se incontrassi qualche sacerdote saggio e santo. Negherei i Santi Sacramenti, cioè: definirei il Nostro Signore un imbroglio. Se Egli è un imbroglio e se lo sono anche i Vangeli – cioè: racconti distorti di un megalomane demente (che è l’unica alternativa), allora naturalmente lo spettacolo inscenato dalla Chiesa (nel senso dei sacerdoti) in passato e oggi è semplicemente la prova di una gigantesca frode. Ma se così non è, allora questo spettacolo è, ahimè! solo quello che ci si doveva aspettare: cominciò prima della prima Pasqua, e non deve influenzare la fede – tranne per il fatto che ci addolora profondamente. Ma noi dovremmo addolorarci per conto di Nostro Signore, associandoci agli scandalizzatori e non ai santi, senza gridare che non possiamo accettare Giuda Iscariota, o l’assurdo e codardo Simon Pietro o le sciocche donne simili alla madre di Giacomo che cerca di spingere suo figlio. Ci vuole un’incredibile dose di scetticismo per non credere che Gesù non sia veramente esistito, e ancora di più per non credere alle cose che gli vengono attribuite — è così improbabile che possano essere state inventate da qualsiasi altro al mondo, all’epoca: come per esempio: «prima di Abramo venne ad essere l’Io sono» (Giovanni, VIII). «Colui che ha visto me ha visto il Padre» (Giovanni, IX); oppure la promulgazione dei Santi Sacramenti in Giovanni, V: «Colui che mangerà la mia carne e berrà il mio sangue avrà vita eterna». Noi quindi dobbiamo credere in Lui e in quello che ha detto e assumercene le conseguenze; oppure rifiutarlo e assumercene le conseguenze. Io trovo difficile credere che chi abbia preso anche solo una volta la Comunione, consapevolmente, possa poi rifiutare di credere in Lui senza incorrere in una grave colpa. (Comunque, Lui solo conosce ogni anima e le circostanze in cui si trova.)
    L’unico rimedio contro il vacillare e l’indebolirsi della fede è la Comunione. Benché sia sempre lo stesso, perfetto e completo e inviolato, il Santo Sacramento non agisce completamente e una volta per tutte in ognuno di noi. Come l’atto di Fede deve essere ripetuto e così accresce la sua efficacia. La frequenza garantisce il massimo effetto. Sette volte alla settimana è più efficace che sette volte dopo lunghi intervalli. Inoltre ti raccomando questo esercizio (ahimè! è fin troppo facile trovare il modo di praticarlo): fa’ la tua Comunione in un ambiente che urti i tuoi sentimenti. Scegli un sacerdote che borbotta e tira su col naso oppure un frate orgoglioso e volgare; e una chiesa piena della solita folla borghese, bambini maleducati — da quelli che gridano a quei prodotti delle scuole cattoliche che nel momento in cui il tabernacolo viene aperto si siedono e sbadigliano — giovani sporchi e con le camicie sbottonate, donne in pantaloni e spesso con i capelli arruffati e senza velo. Vai a fare la Comunione insieme a loro (e prega per loro). Sarà la stessa cosa (o anche meglio) che assistere ad una messa detta splendidamente da un sant’uomo e ascoltata da poca gente devota e decorosa. (Non sarà mai peggio della confusione di quando Gesù nutrì i cinquemila - dopo di che annunciò quello che sarebbe stata la Comunione.)
    Io stesso sono convinto delle affermazioni di Pietro, né guardandosi intorno nel mondo sembrano esserci molti dubbi (se il cristianesimo è vero) su quale sia la vera Chiesa, il tempio dello spirito morto ma vivo, corrotto ma santo, che si rigenera e rivive. Non che uno debba dimenticare le sagge parole di Charles Williams, che è nostro dovere occuparci degli altari accreditati e stabiliti, benché lo Spirito Santo possa mandare il suo fuoco da altre parti. Dio non può essere limitato (nemmeno nell’ambito dell’edificio che ha fondato) – della qual cosa San Paolo è il primo esempio – e può usare qualsiasi canale attraverso il quale far arrivare la sua grazia. Persino amare Nostro Signore, e chiamarlo Signore e Dio, è una grazia e può portare altra grazia. Tuttavia, per non parlare solo di casi singoli, il canale principale deve essere quello istituzionale, altrimenti correrebbe il rischio di estinguersi nella sabbia. Oltre al Sole c’è la luce della Luna (che può essere tanto brillante da permettere di leggere); ma se il Sole scomparisse, non si riuscirebbe più a vedere la Luna. Che cosa ne sarebbe della cristianità oggi, se la Chiesa romana fosse stata distrutta?
    Ma per me quella Chiesa di cui il Papa è capo riconosciuto ha un merito maggiore, e cioè quello di aver sempre difeso il Santo Sacramento e di avergli reso sempre onore e di averlo messo (come Cristo voleva) al primo posto. “Nutrite le mie pecorelle” fu il Suo ultimo incarico a San Pietro; e dato che le Sue parole vanno sempre intese alla lettera, suppongo che fossero riferite principalmente al Pane della Vita. E’ stato contro questo che venne lanciata la prima rivolta dell’Europa occidentale (la Riforma) – contro “la favola blasfema della messa” – e le opere della fede sono state una falsa pista. Credo che la più grande riforma del nostro tempo sia quella portata avanti da san Pio X: superando tutto quello, di cui pur c’era bisogno, che il Concilio deciderà. Mi chiedo in che stato sarebbe la Chiesa se non fosse per quella Riforma.

    Ma io sono uno di quelli che è fuggito dall’Egitto e prego Dio che nessuno della mia stirpe debba ritornare là. Ho assistito (comprendendo solo a metà) alle eroiche sofferenze e alla morte precoce in grande povertà di mia madre che mi ha fatto entrare con sé nella Chiesa; e ho ricevuto lo straordinario aiuto di Francis Morgan. Ma mi sono innamorato dei Santi Sacramenti fin dall’inizio – e grazie a Dio non me ne sono mai allontanato: ma, ahimè!, non ho vissuto sempre alla loro altezza. Vi ho allevati male e vi ho parlato troppo poco. Per cattiverie e per pigrizia ho quasi smesso di praticare la mia religione – specialmente a Leeds, e al 22 di Northmoor Road. Non per me l’Abisso dei Cieli, ma la voce silenziosa del Tabernacolo e quella sensazione di fame implacabile. Mi rammarico amaramente di quei giorni (e ne soffro); soprattutto perché ho fallito come padre. Ora prego per voi tutti, senza soste, che il Salvatore (the Haelend, come il Redentore veniva chiamato in inglese antico) mi guarisca dei miei difetti e che nessuno di voi debba mai smettere di invocare Benedictus qui venit in nomine Domini.
    Dalla lettera del 1 novembre 1963 a Michael Tolkien, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.380

    E’ alla Chiesa che bisogna guardare con speranza, anche nei tempi bui, quando il male sembra prevalere a motivo di Hitler o di Stalin. Il Signore fa crescere nel silenzio ciò che un giorno risplenderà:

    Come nei precedenti secoli bui, solo la Chiesa cristiana continuerà a mantenere una considerevole tradizione (non senza cambiamenti, né, forse, senza guasti) di alta civiltà spirituale, a meno che non sia costretta a nascondersi in nuove catacombe. Pensieri cupi, su cose che in realtà non si possono prevedere; il futuro è impenetrabile specialmente ai saggi; perché le cose più importanti sono sempre nascosta agli occhi dei contemporanei, e i semi di quello che sarà stanno germogliando silenziosamente nell’oscurità di qualche angolo nascosto, mentre tutti noi guardiamo a Stalin o Hitler, o leggiamo articoli illustrati su Beveridge (Il direttore del College universitario nella sua abitazione), sul “Picture Post”. Dalla lettera a Christopher Tolkien del 22 agosto 1944, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pagg.106-107

    A chi gli chiede il significato dell’esistenza dell’uomo, il senso della propria esistenza, Tolkien risponde con una riflessione che attinge alla ricchezza della tradizione cattolica, che vede l’uomo creato per la lode di Dio, “ad maiorem Dei gloriam”:

    Se chiediamo perché Dio ci ha incluso nel suo disegno, non possiamo rispondere che con la constatazione che l’ha fatto. Se Lei non crede in un Dio, la domanda “Qual è lo scopo della vita?” non può nemmeno essere posta e non può avere risposta. A chi o a che cosa rivolgerebbe la domanda? Ma dato che in uno strano angolo dell’Universo... si sono sviluppate delle cose che hanno una mente che si pone delle domande e cerca di rispondervi, Lei potrebbe rivolgersi a una di queste strane cose. Essendo io una di queste, potrei avventurarmi a dire (parlando con assurda arroganza per conto dell’Universo): “Io sono come sono. Non ci si può far niente. Puoi continuare a cercare di scoprire che cosa sono, ma non ci riuscirai mai. E perché vuoi saperlo, proprio non lo so. Forse il desiderio di sapere per il puro gusto di sapere è legato alle preghiere che alcuni di voi rivolgono a quello che chiamate Dio. Nella loro forma più alta queste preghiere sembrano voler semplicemente lodare Dio per la sua esistenza e per aver fatto quello che ha fatto come l’ha fatto”.
    Quelli che credono in un Dio, in un Creatore, non pensano che l’Universo per se stesso sia degno di venerazione, benché lo studio devoto dell’Universo possa essere uno dei modi per onorarne il Creatore. E dato che in quanto creature viventi siamo (in parte) all’interno di esso e parte di esso, le nostre idee di Dio e i modi in cui le esprimiamo saranno in gran parte derivate dalla contemplazione del mondo che ci circonda. (Benché esista anche la rivelazione indirizzata sia a tutti gli uomini sia a individui particolari.)
    Così si può dire che lo scopo principale della nostra vita, per ciascuno di noi, è quello di aumentare, in base alla nostra capacità, la nostra conoscenza di Dio con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione e grazie a questa conoscenza esprimere lodi e ringraziamenti. Fare come diciamo nel Gloria in Excelsis: Laudamus te, benedicamus te, adoramus te, glorificamus te, gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam. Noi ti lodiamo, ti chiamiamo santo, ti veneriamo, proclamiamo la tua gloria, ti ringraziamo per la grandezza del tuo splendore.
    E nei momenti di esaltazione possiamo chiamare tutte le cose create a unirsi a noi nel nostro coro, parlando per loro conto, come fa il Salmo 148 e la Canzone dei tre bambini in Daniele II. LODATE IL SIGNORE... tutte le montagne e le colline, tutti i frutteti e le foreste, tutte le cose che strisciano e gli uccelli che hanno le ali.
    E una risposta troppo lunga, e anche troppo corta — per una domanda simile.
    Dalla lettera del 20 maggio 1969 a Camilla Unwin, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.449-450

    Come letterato cattolico fu invitato a collaborare con la versione inglese della famosa Bibbia di Gerusalemme, l’edizione curata dai domenicani della Scuola Biblica di Gerusalemme, ma si schermisce:

    “Tolkien... è tra i principali collaboratori della Bibbia di Gerusalemme tradotta di recente.”
    Nominarmi tra i “principali collaboratori” è una cortesia che non merito da parte dell’editore della Bibbia di Gerusalemme. Sono stato consultato per lo stile di uno o due passaggi e per criticare alcuni apporti di altri collaboratori. Originariamente mi era stata affidata una notevole parte di testo da tradurre, ma dopo aver svolto del lavoro preliminare sono stato obbligato a rifiutare a causa di altri impegni, e mi sono limitato a portare a termine Giona, uno dei libri più brevi.
    Dalla lettera dell’8 febbraio 1967 a Charlotte e Denis Plimmer, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.425


    Il contesto storico ed i giudizi di Tolkien su nazismo e comunismo

    La semplice lettura dei suoi scritti privati è sufficiente a demolire ogni pretestuoso tentativo di lettura politica che dei suoi racconti è stata fatta. E’, infatti, con grande disincanto che Tolkien guarda agli eventi bellici e post-bellici nell’arco della sua vita. Nessuno sembra salvarsi dai suoi giudizi: certo non i nazi-fascisti, né i comunisti, ma nemmeno gli inglesi o gli americani. E’ la fede cristiana che fa da discrimine nel giudizio di ogni evento. E se, certamente, l’opposizione al nazi-fascismo gli appare una giusta causa – che chiede uno sforzo bellico per debellarla - questo non scusa tutte le immoralità che il fronte dei vincitori ha commesso durante la guerra. E la superficialità del tempo di pace che inizia.

    La fede cristiana gli fa comprendere che il disegno di Hitler è maledetto da Dio:

    La gente di questo paese non sembra ancora essersi resa conto che nei tedeschi noi abbiamo dei nemici le cui virtù (e sono virtù) di obbedienza e patriottismo superano le nostre, nella massa. La cui industria è circa dieci volte più sviluppata. E che sono – sotto la maledizione del Signore – guidati ora da un uomo ispirato da un diavolo pazzo, vorticoso: un tifone: che fa assomigliare il povero vecchio Kaiser al lavoro a maglia di una vecchietta. Ho trascorso gran parte della mia vita, fin da quando avevo la tua età, a studiare germanistica (che in senso generale comprende Inghilterra e Scandinavia). C’è molta più forza e veridicità nell’ideale “germanico” di quanta la gente ignorante non immagini. Io ne ero molto attratto da studente (quando Hitler, penso, si dilettava di pittura e non ne aveva ancora sentito parlare), come reazione contro i “classici”. Bisogna cercare di scoprire il lato buono delle cose, individuando il male vero. Ma nessuno mai mi chiama alla radio o mi chiede di scrivere un poscritto! Eppure credo di sapere meglio di molti altri qual è la verità a proposito del consenso “nordico”. Comunque, in questa guerra io ho un bruciante risentimento privato, che mi renderebbe a 49 anni un soldato migliore di quanto non fossi a 22, contro quel dannato piccolo ignorante di Adolf Hitler (perché la cosa strana circa l’ispirazione demoniaca e l’impeto è che non riguarda per niente la statura intellettuale di una persona, ma riguarda la sola volontà). Sta rovinando, pervertendo, distruggendo e rendendo per sempre maledetto quel nobile spirito nordico, supremo contributo all’Europa, che io ho sempre amato, e cercato di presentare in una giusta luce. Da nessun’altra parte, detto per inciso, era più nobile che in Inghilterra, né più presto santificato e cristianizzato. Dalla lettera del 9 giugno 1941 a Michael Tolkien, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.64

    Ha grande lucidità quando, richiesto di indicare la sua provenienza familiare, capisce che gli si sta chiedendo se è di origine ebraica o meno, per avere elementi in vista di una sua presentazione agli occhi della stampa nazista. Il suo attacco a chi offende gli ebrei è frontale:

    Temo di non aver capito chiaramente che cosa intendete per arisch. Io non sono di origine ariana, cioè indo-iraniana; per quanto ne so, nessuno dei miei antenati parlava indostano, persiano, gitano o altri dialetti derivati. Ma se voi volevate scoprire se sono di origine ebrea, posso solo rispondere che purtroppo non sembra che tra i miei antenati ci siano membri di quel popolo così dotato. Il mio bis-bis-nonno venne in Inghilterra dalla Germania nel diciottesimo secolo: la gran parte dei miei avi è quindi squisitamente inglese e io sono assolutamente inglese, il che dovrebbe bastare. Sono sempre stato solito, tuttavia, considerare il mio nome germanico con orgoglio e ho continuato a farlo anche durante il periodo dell’ultima, deplorevole guerra, durante la quale ho servito nell’esercito inglese. Non posso, tuttavia, trattenermi dall’osservare che se indagini così impertinenti e irrilevanti dovessero diventare la regola nelle questioni della letteratura, allora manca poco al giorno in cui un nome germanico non sarà più motivo di orgoglio. La Vostra indagine è sicuramente dovuta all’obbligo di adeguarsi alla legge del Vostro paese, ma che questa debba anche essere applicata alle persone di un altro stato è scorretto anche se avesse (ma non ce l’ha) a che fare con i meriti del mio lavoro o con la sua idoneità alla pubblicazione, lavoro del quale sembravate soddisfatti anche senza saper nulla della mia Abstammung. Dalla lettera del 25 luglio 1938 alla Ruetten & Loening Verlag, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.45

    La sua avversione al comunismo ed ai suoi crimini è altresì evidente, nonostante i russi siano alleati con inglesi ed americani nella guerra in corso. Di questi ultimi, invece, già intravede il modello economico consumistico con tutti i suoi potenziali distruttivi:

    Anche se devo ammettere che ho sorriso a denti stretti e “mi sono quasi rotolato sul pavimento, senza interessarmi di quello che sarebbe successo”, quando ho sentito che quel vecchio assassino assetato di sangue di Giuseppe Stalin ha invitato tutte le nazioni a unirsi in una grande famiglia e a lottare per abolire la tirannia e l’intolleranza! Ma devo anche ammettere che nella foto il nostro piccolo cherubino W.S.C. in realtà sembrava il più ruffiano di tutti. Uhm, bé! Mi chiedo (se sopravviveremo a questa guerra) se resterà una piccola nicchia, anche scomoda, per gli antiquati reazionari come me (e te). I grandi assorbono i piccoli e tutto il mondo diventa più piatto e più noioso. Tutto diventerà una piccola, maledetta periferia provinciale. Quando avranno introdotto il sistema sanitario americano, la morale, il femminismo e la produzione di massa all’est, nel medio Oriente, nel lontano Oriente, nell’Urss, nella pampa, nel Gran Chaco, nel bacino danubiano, nell’Africa equatoriale, nelle terre più lontane dove esistono ancora stregoni, nel Gondhwanaland, a Lhasa e nei villaggi del profondo Berkshire, come saremo tutti felici. Ad ogni modo, questa dovrebbe essere la fine dei grandi viaggi. Non ci saranno più posti dove andare.

    Ma scherzi a parte: trovo questo cosmopolitanesimo americano terrificante. Per quanto riguarda la mente e lo spirito, e trascurando le insignificanti paure di chi non vuole essere ucciso da soldati brutali e licenziosi (tedeschi o di altra nazionalità), non sono del tutto sicuro che una vittoria americana a lunga scadenza si rivelerà migliore per il mondo nel suo complesso piuttosto della vittoria di - . Non penso che le lettere inviate entro i confini del paese vengano censurate
    Dalla lettera del 9 dicembre 1943 a Christopher Tolkien, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.72

    E’ un sentimento di pietas che, nonostante gli orrori nazisti, vorrebbe vedere sorgere:

    Ho appena sentito le novità... I russi a sessanta miglia da Berlino. Sembra che qualcosa di decisivo debba accadere da un momento all’altro. La terribile distruzione e la miseria provocate da questa guerra aumentano di ora in ora: distruzione di quella che dovrebbe essere (e in realtà lo è) la ricchezza comune dell’Europa, e del mondo, se l’umanità non fosse così fanatica, ricchezza la cui perdita ci toccherà tutti, vincitori e vinti. Eppure la gente gode malignamente nel sentire delle code senza fine, lunghe quaranta miglia, di miserabili profughi, donne e bambini che si dirigono verso occidente, morendo per strada. Sembra che in queste oscure ore diaboliche non siano rimasto più nessun moto di pietà o di compassione, nessuna immaginazione. Con la qual cosa non voglio dire che tutto questo, principalmente (non solamente) provocato dalla Germania, non sia inevitabile e necessario. Ma perché questa soddisfazione maligna! Dovremmo aver raggiunto un livello di civiltà in cui può ancora essere necessario giustiziare un criminale ma senza goderne, o impiccare sua moglie e suo figlio accanto a lui mentre la gente grida come tanti orchi. La distruzione della Germania, sia pure cento volte meritata, è una delle più spaventose catastrofi mondiali. Dalla lettera del 30 gennaio 1945 a Christopher Tolkien, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.126

    Compare un riferimento al Signore degli Anelli, ma non a giustificare l’una o l’altra delle parti in causa, bensì a mostrare come mai la violenza e la sopraffazione debbano essere desiderate:

    C’era un solenne articolo nel giornale locale che teorizzava in tutta serietà lo sterminio sistematico dell’intera nazione tedesca come unico giusto modo di comportarsi dopo una vittoria in guerra: perché sono serpenti a sonagli e non conoscono la differenza tra bene e male! (Chissà l’autore dell’articolo?) I tedeschi hanno lo stesso diritto di definire polacchi ed ebrei vermi da schiacciare, creature subumane, quanto noi di definire così i tedeschi: e cioè nessun diritto, qualunque cosa abbiano fatto. Naturalmente, c’è una differenza qui da noi. L’articolo ricevette una risposta e la risposta venne stampata. Il furfante volgare e ignorante non è ancora un capo con il potere in mano; ma è molto più prossimo a diventarlo ora di quanto non fosse in passato anche in questa verde e piacevole isola. Sai benissimo tutto ciò. Tuttavia non sei l’unico che sente il desiderio di sbuffare o esplodere, a volte; e anch’io potrei mandare fuori uno sbuffo di vapore, se aprissi la valvola, a paragone del quale (come disse la Regina ad Alice) questo è solo una spruzzata di profumo. Non ci si può far niente. Non puoi combattere il Nemico con il suo Anello senza trasformarti anche tu in un Nemico; ma sfortunatamente la saggezza di Gandalf sembra sia sparita insieme a lui nel lontano e genuino Occidente. Dalla lettera del 23-25 settembre 1944 a Christopher Tolkien, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.108


    La teologia cristiana e la dottrina del peccato originale negli scritti tolkieniani

    Nelle lettere di Tolkien incontriamo più volte una lettura cristiana della presenza del male nel mondo e della forza di Cristo che gli si oppone.
    Talvolta, con il suo humour inglese, scherza sulla fede e sulla bontà di Cristo:

    Quindi concluse che l’unico critico letterario è Cristo, il quale ammira più di ogni altro uomo al mondo i doni che Lui stesso ha dispensato. Quindi “riconosciamoci in Cristo”. Dio ti conservi. Dalla lettera con l’indicazione Septuagesima 1948 a C.S.Lewis, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.146

    Più spesso evidenzia la serietà del problema del male e del peccato. Pure, senza mai dimenticare l’opera instancabile di Dio e del bene:

    Una conoscenza anche superficiale della storia deprime una persona dandole la sensazione dell’eterna quantità dell’iniquità umana: vecchia, vecchia, squallida, infinita immutabile incurabile corruzione. Tutte le città, tutti i paesi, tutte le abitazioni degli uomini – fogne! E allo stesso tempo uno sa che c’è sempre un po’ di bene: sempre più nascosto, sempre meno chiaramente discernibile, che raramente esce allo scoperto, si fa visibile, si trasforma in una buona parola, in una vera santità, molto più grande della visibile corruzione. Ma io temo che nelle vite di tutti, tranne pochi, la bilancia sia in debito: facciamo così poco bene in positivo, anche se in negativo evitiamo quello che è il male attivo. Dev’essere terribile essere un sacerdote!... Dalla lettera del 14 maggio 1944 a Christopher Tolkien, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.94

    La sessualità, il rapporto uomo-donna, manifestano che uno squilibrio si è prodotto nell’essere umano, dopo la sua creazione:

    Lo spostamento dell’istinto sessuale è uno dei sintomi principali della Caduta. Il mondo è andato sempre peggio di epoca in epoca. Le varie forme sociali cambiano e ogni nuova moda comporta particolari pericoli: ma il “duro spirito della concupiscenza” ha percorso ogni strada e siede sogghignando in ogni casa, da quando Adamo è caduto...

    E’ un mondo corrotto, il nostro, e non c’è armonia tra i nostro corpi, la nostra mente e l’anima. Tuttavia, la caratteristica di un mondo corrotto è che il meglio non si può ottenere attraverso il puro godimento, o quella che è chiamata la realizzazione di sé (che di solito è un modo elegante per definire l’autoindulgenza, nemica della realizzazione degli altri); ma attraverso la rinuncia, la sofferenza. La fede nel matrimonio cristiano implica questo: grande mortificazione. Per un cristiano non c’è alternativa. Il matrimonio può aiutarlo a santificare e a dirigere verso un giusto obiettivo i suoi impulsi sessuali; la sua grazia può aiutarlo nella battaglia; ma la battaglia resta. Il matrimonio non lo potrà soddisfare – come un affamato può essere soddisfatto da pasti regolari. Presenterà tante difficoltà per mantenere la purezza che si addice a quello stato e altrettante soddisfazioni. Nessun uomo che si sia sposato giovane, per quanto sinceramente innamorato di sua moglie, le è mai stato fedele per tutta la vita con la mente e con il corpo senza un deliberato e consapevole uso della sua volontà o senza negazione di sé. Queste cose non vengono quasi mai dette nemmeno a quelle persone cresciute nella fede della Chiesa. Quelle che vivono al di fuori sembra che non ne abbiano mai sentito parlare. Quando l’innamoramento è passato o quando si è un po’ spento, pensano di aver fatto un errore e di dover ancora trovare la vera anima gemella. Per vera anima gemella troppo spesso si scambia la prima persona sessualmente attraente che si incontra. Qualcuno che forse davvero avrebbero fatto meglio a sposare, se solo... Da qui il divorzio, per risolvere quel “se solo”. E naturalmente di solito hanno ragione: avevano fatto un errore. Solo un uomo molto saggio, arrivato al termine della sua vita, potrebbe esprimere un equo giudizio su quale persona, fra tutte, avrebbe fatto meglio a sposare! Quasi tutti i matrimoni, anche quelli felici, sono errori: nel senso che quasi certamente (n un mondo migliore, o anche in questo, pur se imperfetto, ma con un po’ più di attenzione) entrambi i partner avrebbero potuto trovare compagni molto più adatti. Ma la vera anima gemella è quella che hai sposato. Di solito tu scegli ben poco: lo fanno la vita e le circostanze (benché, se c’è un Dio, queste non sono che i Suoi strumenti o la Sua manifestazione)...
    Al di là di questa mia vita oscura, tanto frustrata, io ti propongo l’unica grande cosa da amare sulla terra: i Santi Sacramenti. [...]. Qui tu troverai avventura, gloria, onore, fedeltà e la vera strada per tutto il tuo amore su questa terra, e più di questo: la morte. Per il divino paradosso che solo il presagio della morte, che fa terminare la vita e pretende da tutti la resa, può conservare e donare realtà ed eterna durata alle relazioni su questa terra che tu cerchi (amore, fedeltà, gioia), e che ogni uomo nel suo cuore desidera.
    Dalla lettera del 6-8 marzo 1941 a Michael Tolkien, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.56-63

    Il rifiuto di ammettere che esiste un problema dell’affettività umana, che chiede un cammino per arrivare all’amore, è nefasto:

    Si è venuta a creare una situazione in cui le persone comuni, irreligiose e irriflessive, non solo non sono più frenate dalla legge per quanto riguarda la loro incostanza, ma anzi sono incoraggiate all’incostanza dalla legge e dai costumi sociali. Non occorre aggiungere che si è venuta a creare una situazione in cui è incredibilmente difficile educare la gioventù cristiana alla morale sessuale cristiana (che in base alla nostra ipotesi è una morale giusta per tutti e che andrà perduta, la sua sopravvivenza dipendendo dalla gioventù cristiana). Da un abbozzo di lettera a C.S.Lewis, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.69

    La fiducia sconsiderata nella tecnologia riflette anch’essa il Peccato d’origine:

    C’è la tragedia e la disperazione di tutte le macchine nude. A differenza dell’arte che si accontenta di creare nella mente un nuovo mondo, la tecnica cerca di realizzare i desideri, e così di creare potere in questo mondo; e questo non può in realtà essere fatto con qualche soddisfazione. Le macchine che risparmiano la fatica creano solamente fatica peggiore e senza fine. E in aggiunta a questa sostanziale incapacità di creare, c’è la Caduta, che fa sì che i nostri aggeggi non solo falliscano i loro obiettivi, ma diano vita ad altre cose malefiche e orribili. Così inevitabilmente da Dedalo e Icaro arriviamo al bombardiere gigante. Non è certo un passo avanti sulla strada della saggezza! Dalla lettera del 7 luglio 1944 a Christopher Tolkien, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.102

    Dinanzi alla serietà della presenza del male, la sua speranza cristiana sta fissa nella promessa di Cristo e nella certezza di una immortalità di bene che Dio ha in serbo. Questo appare con più evidenza nelle lettere ai figli, anche nel pericolo delle battaglie della guerra:

    Tuttavia tu sei la mia carne e il mio sangue e tieni alto il nostro nome. E’ già qualcosa essere il padre di un giovane e buon soldato. Sai perché tengo così tanto a te e perché tutto quello che fai mi tocca da vicino? Eppure, dobbiamo sperare e aver fiducia. Il legame tra padre e figlio non è costituito solo dalla consanguineità: ci deve essere un po’ di aeternitas. Esiste un posto chiamato “paradiso” dove le opere buone iniziate qui possono venire portate a termine; e dove le storie non scritte e le speranze incompiute possono trovare un seguito. Possiamo riderne insieme eppure... dalla lettera del 9 giugno 1941 a Michael Tolkien, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.64

    L’affidare i figli ai loro angeli custodi diviene occasione per meditare sul legame di ogni persona con Dio stesso:

    Ricorda il tuo angelo custode. Non una signora grassoccia con ali di cigno! Ma – almeno così penso e credo - in quanto anime dotate di libero arbitrio siamo fatti in modo da affrontare (o essere in grado di affrontare) Dio.
    Ma Dio è anche (si fa per dire) dietro di noi, sostenendoci, nutrendoci (dato che siamo creature sue). Quel luminoso punto di potere dove il cordone della vita, il cordone ombelicale dello spirito termina, là è il nostro angelo, che guarda in due direzioni: a Dio dietro di noi, senza che noi possiamo vederlo, e a noi. Ma naturalmente non stancarti di contemplare Dio, nel tuo libero arbitrio e nella tua forza (che entrambi ti arrivano “da dietro”, come dicevo). Se non riesci a raggiungere la pace interiore, e a pochi è dato raggiungerla (men che mai a me) nelle tribolazioni, non dimenticare che l’aspirazione a raggiungerla non è inutile, ma un atto concreto. Mi dispiace di doverti parlare così e in modo così incerto. Ma non posso fare niente di più per te, carissimo. [...]
    Se già non lo fai, prendi l’abitudine di pregare. Io prego molto (in latino): il Gloria Patri, il Gloria in Excelsis, il Laudate Dominum; il Laudate Pueri Dominum (a cui sono particolarmente affezionato), uno dei salmi domenicali; e il Magnificat; anche la Litania di Loreto (con la preghiera Sub tuum praesidium). Se nel cuore hai queste preghiere non avrai mai bisogno di altre parole di conforto. E’ anche bene, una cosa ammirevole, sapere a memoria il Canone della Messa, perché la puoi recitare sottovoce se qualche circostanza avversa ti impedisse di assistervi. Così endeth Faeder lar his suna.
    Anglosassone: “Il consiglio del padre a suo figlio”.
    Con tutto il mio amore Dalla lettera del 8 gennaio 1944 a Christopher Tolkien, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.77.

    La fede in Dio è forza che assicura che il bene non è mai vano nell’eternità e che, anche, ha forza nel dispiegarsi del tempo:

    Ma il punto di vista storico, naturalmente, non è l’unico. Tutte le cose e le azioni valgono per se stesse, a parte le loro “cause” e i loro “effetti”. Nessun uomo può giudicare quello che sta veramente succedendo al momento attuale sub specie aeternitatis. Tutto quello che sappiamo, e anche questo in larga parte per diretta esperienza, è che il male agisce con grande potenza e successi continui – inutilmente: preparando sempre e solamente il terreno perché il bene, inaspettatamente, germogli. Così accade in generale, e così accade nelle nostre vite... Ma c’è ancora qualche speranza che le cose per noi possano migliorare, anche sul piano temporale, per grazia di Dio. E anche se abbiamo bisogno di tutto il nostro umano coraggio e di tutte le nostre risorse naturali (l’enorme capacità del coraggio umano e dell’umana sopportazione è stupenda, non è vero?) e di tutta la nostra fede religiosa per affrontare il male che ci può capitare (come capita ad altri, secondo la volontà di Dio), tuttavia possiamo pregare e sperare. Io lo faccio. E tu sei stato per me un dono così speciale, in un periodo di disperazione e di sofferenza mentale, e il tuo amore, che si è dischiuso subito non appena sei nato, mi ha fatto capire, a chiare lettere, che io avrò sempre motivo di consolazione grazie alla certezza che non c’è fine a tutto questo. E’ probabile che sotto l’ala del Signore noi ci riincontreremo, “vivi e uniti”, fra non molto tempo, carissimo, ed è certo che abbiamo un legame speciale che durerà al di là della vita – sempre soggetto, naturalmente, al mistero del libero arbitrio, con il quale ognuno di noi può rigettare la propria “salvezza”. Nel qual caso Dio sistemerà le cose in modo diverso! Dalla lettera del 30 aprile 1944 a Christopher Tolkien, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.88


    Favola e vangelo: il lieto fine dopo il peccato di origine

    Sopratutto, per gettare un’ulteriore luce su Il Signore degli Anelli, dobbiamo rivolgerci allo straordinario scritto teorico dal titolo “Sulle fiabe” che Tolkien ci ha lasciato. In questa conferenza, poi divenuta un saggio La conferenze fu tenuta all’interno di un ciclo di interventi in memoria di Andrew Lang, all’Università di St.Andrews l’8 marzo 1939. Edita la prima volta nel 1947, fu poi ripubblicata, insieme alla storia Leaf and Niggle, nel 1964 (è quest’ultima edizione che è stata tradotta in italiano nel volume J.R.R.Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000 )., difende il lavoro dello scrittore capace di creare un “mondo secondario” (questa l’espressione di Tolkien per indicare ciò che noi chiamiamo “mondo fantastico”) e spiega il senso e la gioia del suo essere autore de Il Signore degli Anelli, nella creazione di quel mondo, così minuziosamente descritto, nel quale noi incontriamo Sam, Frodo e tutti gli altri personaggi.

    “Sulle fiabe” vuole rispondere a delle semplici domande:

    Cosa sono le fiabe? Qual è le loro origine? A cosa servono? Cercherò di dare a queste domande una riposta, o degli accenni di risposta che ho spigolato – soprattutto dalle storie stesse, quelle poche che io conosco della loro moltitudine. Da J.R.R.Tolkien, Sulle fiabe, in J.R.R.Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, pag.167.

    Tolkien contesta subito quelle spiegazioni superficiali che possono essere date del mondo delle fiabe, anche perché conducono ad un immediato deprezzamento di questo lavoro letterario. Le “fiabe” non sono, nella loro essenza più profonda, né “favole di animali”, né “storie su esseri fatati”:

    Ho detto che “storie su esseri fatati” era una definizione troppo restrittiva (N. di Tolkien stesso) A parte in pochi casi, come nelle collezioni di racconti gallesi o gaelici. In queste raccolte, le storie sulla “famiglia delle fate”, o Shee-folk, sono a volte distinte dai racconti popolari che riguardano meraviglie d’altro genere. In questa accezione “racconto di fate” (fairy-tale) o “credenza sulle fate” (fairy-lore) sono usualmente brevi relazioni circa l’apparizione di esseri fatati, o circa la loro intromissione negli affari degli uomini. Ma questa distinzione è un prodotto delle traduzioni.. E’ troppo restrittiva anche se eliminiamo la statura minuscola, perché le fiabe nell’uso linguistico corrente non sono storie sulle fate o gli elfi, ma storie sul mondo fatato, cioè Faërie, il regno o lo stato in cui le fate conducono la loro esistenza. Faërie contiene molte cose oltre a elfi e fate, e oltre a gnomi, streghe, troll, giganti o draghi: contiene i mari, il sole, la luna, il cielo; e la terra, e tutto ciò che è in essa: alberi e uccelli, acqua e pietre, vino e pane, e noi stessi, uomini mortali, quando siamo vittime di un incantesimo. Storie che veramente trattino in primo luogo di “esseri fatati”, cioè di creature che anche nella lingua di oggi possono essere chiamate “elfi”, sono relativamente rare, e di norma non sono troppo interessanti. La maggioranza delle buone “fiabe” vertono sulle avventure di uomini nel Reame Periglioso o lungo le sue nebulose regioni di confine. Da J.R.R.Tolkien, Sulle fiabe, in J.R.R.Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, pag.173.

    Tolkien distingue inoltre, per comprendere l’intima natura delle fiabe, l’Incantesimo che è loro proprio, dalla Magia:

    L’Incantesimo, in mancanza di un termine meno discutibile, produce un Mondo Secondario nel quale sia l’artefice che lo spettatore possono entrare, finché vi si troveranno con piena soddisfazione dei loro sensi; ma nella sua pura essenza è artistico sia nel desiderio che nello scopo. La Magia produce, o pretende di produrre, un’alterazione del Mondo Primario. Non conta da chi si dica che venga praticata, fata o mortale; rimane comunque distinta... Non è un’arte, ma una tecnica; ciò che desidera è il potere in questo mondo, il dominio di cose e volontà.
    La Fantasia aspira all’abilità elfica, all’Incantesimo, e quando gli riesce, gli si avvicina più di tutte le forme umane di Arte. Nel cuore di molte storie sugli esseri fatati elaborate da esseri umani si trova, scoperto o nascosto, puro o mescolato ad altri elementi, il desiderio di un arte sub-creativa vivente e realizzata, che (per quanto esteriormente possa somigliarle) è interiormente diversa dall’egocentrica bramosia di potere che costituisce il marchio caratteristico del Mago puro e semplice. Di questo desiderio sono largamente fatti gli elfi nella loro parte migliore (pur sempre pericolosa); ed è da loro che possiamo apprendere quale sia il desiderio centrale e l’aspirazione principale della Fantasia umana.
    Da J.R.R.Tolkien, Sulle fiabe, in J.R.R.Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, pagg.211-212.

    La fiaba, pur essendo opera fantastica, ha così a che fare con la realtà, in tutta la sua consistenza, ma, ancor più, ha a che fare con l’uomo e con i suoi bisogni e desideri più profondi:

    La Magia del Regno Fatato non è fine a se stessa, la sua virtù risiede nei suoi effetti: e fra questi vi è la soddisfazione di alcuni primordiali bisogni umani. Uno di questi desideri è contemplare le profondità dello spazio e del tempo. Un altro è... essere in comunione con altri esseri viventi. Una storia può così trattare della soddisfazione di questi desideri, con o senza l’intervento di macchine e di magie e, in proporzione alla sua riuscita, si avvicinerà alla fiaba e ne avrà il sapore. Da J.R.R.Tolkien, Sulle fiabe, in J.R.R.Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, pag.176

    Paradossalmente è condizione necessaria della fiaba che essa si presenti come vera. Non tollera artifici e finzioni che distraggano dalla sua “verità”:

    E’ comunque essenziale per una fiaba genuina, distinta dall’impiego di questa forma letteraria per scopi inferiori e sviliti, che essa venga presentata come “vera”. Considererò un momento il significato di “vera” in questo contesto. Poiché la fiaba tratta di “meraviglie”, non può tollerare alcuna cornice e alcun congegno narrativo in cui si suggerisca che tutta la storia in cui questi prodigi accadono sia una finzione o un’illusione. Da J.R.R.Tolkien, Sulle fiabe, in J.R.R.Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, pag.177

    E ancora:

    La Fantasia è una naturale attività umana. Certo, essa non distrugge e neppure offende la Ragione, e non smussa neanche l’appetito per - né oscura la sua percezione della - verità scientifica. Al contrario. Quanto più la ragione è acuta e chiara, tanto meglio opererà la Fantasia. Se gli uomini si trovassero in uno stato nel quale non volessero conoscere, o non potessero percepire la verità (i fatti o le testimonianze), allora la Fantasia languirebbe sintantochè essi non fossero guariti. E se mai giungeranno ad uno stadio di questo genere (il che non sembra del tutto impossibile) la Fantasia perirà, e diverrà Illusione Morbosa.
    Perché la Fantasia si fonda sulla dura consapevolezza che le cose sono proprio così nel mondo, quale esso appare alla luce del sole; sul riconoscimento di un dato di fatto, ma non sul divenirne schiavi.
    Da J.R.R.Tolkien, Sulle fiabe, in J.R.R.Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, pag.213

    Falsa è anche, per Tolkien, l’affermazione che le fiabe siano un genere letterario per bambini:

    In realtà l’associazione tra bambini e fiabe è un accidente della nostra storia domestica. Le fiabe nel mondo letterario moderno sono state relegate alle stanze dei bambini, così come il mobilio logoro o non più di moda viene relegato nella stanza dei giochi, innanzitutto perché gli adulti non lo vogliono più, e non importa se viene usato in modo improprio[36]. Non è una scelta dei bambini che lo decide. I bambini come classe – e non lo sono, eccetto che per una comune mancanza di esperienza – non amano le fiabe più degli adulti, né le comprendono meglio di loro; e comunque non le amano più di quanto amino altre cose. Sono giovani e stanno crescendo, e normalmente hanno un sano appetito, cosicché le fiabe, di regola, vengono digerite abbastanza bene. Ma in realtà solo alcuni bambini, e alcuni adulti, hanno un gusto particolare per esse; e quando ce l’hanno non è esclusivo, e neppure necessariamente predominante. E’ inoltre un gusto, penso, che non si manifesterebbe nella prima infanzia senza stimoli artificiali; e che certamente, se è innato, non diminuisce ma aumenta con l’età. E’ vero che in tempi recenti le fiabe sono state abitualmente scritte o “adattate” per i bambini. Ma si potrebbe fare la stessa cosa con la musica, la poesia, i romanzi, la storia, o i manuali scientifici. E’ un procedimento pericoloso, anche quando è necessario. Si salva dal disastro certamente soltanto per il fatto che le arti e le scienze non sono materie relegate in blocco alla stanza dei bambini; all’asilo e a scuola vengono impartiti soltanto assaggi e cenni sulle cose degli adulti, nella misura in cui sembra adatta ai bambini secondo l’opinione (spesso erronea) degli adulti. Ciascuna di queste materie, se lasciata nel suo complesso incustodita nella stanza dei bambini, verrebbe gravemente danneggiata. Lo stesso accadrebbe a un bel tavolo, a un buon quadro, a uno strumento utile (come un microscopio); verrebbero smontati o rotti, se fossero lasciati senza precauzioni in un’aula scolastica. Le fiabe, bandite a questo modo, tagliate fuori dall’ambito di un’arte pienamente adulta, finirebbero per rovinarsi; e invero, già per il fatto stesso di essere state bandite, sono cadute in rovina. Da J.R.R.Tolkien, Sulle fiabe, in J.R.R.Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, pag.195

    L’identificare l’uditorio delle fiabe con quello dei bambini porta ad un immediato svilimento della creazione fantastica che ne è all’origine. L’autore di un racconto fantastico è veramente il creatore adulto di un mondo:

    I bambini sono capaci, naturalmente, di una credulità letteraria, quando l’arte di chi compone la storia è sufficientemente buona da produrla. Questa attitudine mentale è stata chiamata “sospensione volontaria dell’incredulità”. E’ la famosa frase del poeta S.T.Coleridge (1772-1834), autore della nota Ballata del vecchio marinaio (1798), ed è tratta dal suo De Anima Poetae del 1816: “That willing suspension of disbelief for the moment, which constitues poetic faith” (cap.14) (n.d.c.) Ma non mi sembra una buona descrizione di ciò che avviene. Ciò che avviene in realtà è che il compositore della storia si dimostra un “sub-creatore” riuscito. Egli costruisce un Mondo Secondario in cui la nostra mente può introdursi. In esso, ciò che egli riferisce è “vero”: in quanto in accordo con le leggi di quel mondo. Quindi ci crediamo, finché, per così dire, restiamo al suo interno. Nel momento in cui sorge l’incredulità, l’incantesimo è rotto; la magia, o piuttosto l’arte, non è riuscita. Ci si ritrova di nuovo fuori, nel Mondo Primario, e si guarda dall’esterno il piccolo, abortito Mondo Secondario. Da J.R.R.Tolkien, Sulle fiabe, in J.R.R.Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, pag.197

    Gli stessi bambini, se presi da una vera storia di fantasia riuscita, non pongono con frequenza la domanda circa la verità della storia stessa, ma interrogano sulla bontà dei personaggi di essa:

    Molto più spesso, essi mi hanno chiesto: “Era buono? Era cattivo?” Ciò significa che erano soprattutto interessati ad aver chiara la Ragione e il Torto. Perché questa è una questione egualmente importante e nella Storia e nel Mondo Fatato. Da J.R.R.Tolkien, Sulle fiabe, in J.R.R.Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, pag.199

    Rifacendosi ai ricordi della sua infanzia Tolkien rammenta come le fiabe siano state per lui una forma di vera conoscenza, siano state forma del suo incontro con il desiderio:

    Io non avevo nessun particolare infantile “desiderio di credere”. Io volevo sapere. Credere dipendeva dal modo in cui mi venivano presentate le storie, dalle persone più anziane, o dagli autori, o dal tono e dalla qualità inerenti al racconto. Ma non ricordo che, in nessun momento, il piacere che mi dava una storia dipendesse dal fatto di credere che avvenimenti di quel genere potessero aver luogo, o avessero avuto luogo, nella “vita reale”. In primo luogo le fiabe non avevano chiaramente a che fare con ciò che era possibile, ma con ciò che era desiderabile. Se risvegliavano il desiderio,e lo soddisfacevano, giungendo spesso ad acuirlo in modo insopportabile, erano riuscite. Da J.R.R.Tolkien, Sulle fiabe, in J.R.R.Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, pag.200

    Le fiabe riuscite non sono infantili, non nascondo il male presente nella realtà, ma anzi preparano a sostenerlo:

    Se usiamo bambino nel senso buono (ha anche un senso legittimamente cattivo), non dobbiamo permettere che ciò ci spinga nel sentimentalismo, facendoci usare adulto o grande solo in senso cattivo (legittimamente, queste parole hanno anche un senso buono). Il processo di crescita non è di necessità collegato al fatto di crescere in malvagità, anche se spesso le due cose sono concomitanti. I bambini devono crescere e non diventare dei Peter Pan. Non per perdere innocenza e meraviglia; ma per avanzare in un viaggio prestabilito: quel viaggio nel quale arrivare è meglio che procedere pieni di speranza, sebbene per arrivare si debba procedere pieni di speranza. Ma una delle lezioni che ci danno le fiabe (se possiamo parlare di lezioni per cose che non montano mai in cattedra) è che il pericolo, il dolore e l’ombra della morte possono conferire dignità e in qualche caso persino saggezza alla gioventù inesperta, impacciata ed egoista. Da J.R.R.Tolkien, Sulle fiabe, in J.R.R.Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, pag.204

    La fiaba allora si presenta come una vera creazione, come “arte” nel senso più profondo della parola, come lo stabilimento di un “mondo secondario” nel quale tutto deve essere credibile:

    Sono non soltanto consapevole, ma anche lieto del fatto che esistano legami etimologici e semantici tra fantasia e fantastico: con immagini di cose che non solo “non sono realmente presenti”, ma invero non possono essere affatto trovate nel nostro mondo primario, o delle quali si suppone che non possano esservi trovate. Nell’ammettere questo, non consento affatto a un tono spregiativo. Che le immagini si riferiscano a cose che non appartengono al mondo primario (se davvero ciò è possibile) è una virtù, non un vizio. La Fantasia in questo senso è, credo, non una forma inferiore ma una forma più elevata di Arte, invero la forma più prossima alla purezza e dunque (quando viene raggiunta) quella più potente.
    Naturalmente la Fantasia ha dalla sua un vantaggio: quella stranezza che attrae. Ma questo vantaggio è stato volto contro di lei, e ha contribuito alla sua cattiva reputazione. A molta gente non piace subire un’ “attrazione”. Non gradiscono alcuna intromissione con il Mondo Primario, o quei rapidi sguardi a esso, loro familiari. Essi, dunque, con stupidità, e anche con malignità, confondono la Fantasia con il Sogno, nel quale non vi è Arte alcuna
    Ciò non è vero di tutti i sogni. In alcuni di essi, la Fantasia sembra aver parte. Ma si tratta di un fatto eccezionale. La Fantasia è un’attività razionale, non irrazionale; e con il disordine mentale, in cui non c’è neppure alcun controllo: con l’illusione e con l’allucinazione. Ma l’errore, o la malignità, che viene generato dal turbamento e dal conseguente disgusto, non è la sola causa di questa confusione. La Fantasia ha anche uno svantaggio essenziale: è difficile da raggiungere. La Fantasia può essere, penso, non meno ma più che sub-creativa; e in ogni caso si constata nella pratica che “l’intima consistenza della realtà” è tanto più difficile da produrre, quanto più le immagini e la ristrutturazione del materiale primario sono dissimili dalla struttura reale del Mondo Primario stesso. E’ più facile ottenere questo tipo di “realtà” con materiale più “sobrio”. Troppo spesso quindi, la Fantasia resta senza sviluppo: viene e venne utilizzata superficialmente, o solo con parziale serietà, o per semplice decorazione: resta mera “fantasticheria”. Chiunque erediti lo straordinario strumento del linguaggio umano può parlare del sole verde. Molti possono quindi immaginarlo o descriverlo. Ma questo non basta ancora – per quanto possa già essere qualcosa di più potente di molti “schizzi dal vero” o di molte “scene di vita” che ricevono plauso letterario. Creare un Mondo Secondario all’interno del quale il sole verde possa essere credibile, imponendo la Credenza Secondaria, richiederà probabilmente fatica e riflessione, e sicuramente avrà bisogno di una particolare abilità, una sorta di maestria elfica. Pochi tentano imprese così difficili. Ma quando queste imprese vengono tentate e quando sono in una certa misura riuscite, allora abbiamo una rara conquista artistica: della vera arte narrativa, l’elaborazione di una storia nella sua modalità primaria e più potente. Da J.R.R.Tolkien, Sulle fiabe, in J.R.R.Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, pag.206

    Avere creatività, fantasia, è uno degli eventi che rivela la nostra somiglianza con Dio stesso, con il Creatore:

    La Fantasia resta un diritto umano: noi creiamo a nostra misura e secondo la nostra modalità derivata, perché siamo stati creati: e non soltanto creati, ma creati a immagine e somiglianza di un Creatore. Da J.R.R.Tolkien, Sulle fiabe, in J.R.R.Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, pag.214

    Nella creazione letteraria noi usiamo ciò che esiste; ci serviamo, ad esempio, della natura, con tutte le sue leggi, ma ne facciamo un qualcosa di unico e di irripetibile. Da qui consegue il rifiuto di ogni lettura allegorica di un’opera di fantasia ben riuscita, quindi anche de Il Signore degli Anelli. In una prospettiva allegorica i singoli personaggi sarebbero visti come semplici rappresentazioni di idee, di tipi, e non come viventi realtà, esistenti in sé, pieni della propria dignità e bellezza. Nella creazione fantastica ogni personaggio non rappresenta, ma è!

    La primavera, ovviamente, non è davvero meno bella perché abbiamo già visto o sentito di altri eventi simili: eventi simili, ma mai lo stesso evento dall’inizio del mondo alla sua fine. Ogni foglia, di quercia, di frassino, di biancospino, è una incarnazione unica del modello; e per alcune proprio quest’anno può essere quello dell’incarnazione, il primo mai visto e riconosciuto, anche se le querce hanno continuato a cacciar fuori foglie per innumerevoli generazioni umane. Non dobbiamo perdere la speranza di disegnare, né abbiamo bisogno di farlo, solamente perché tutte le linee possono essere soltanto o curve o dritte, né perdere quella di dipingere perché esistono soltanto tre colori “primari”. Da J.R.R.Tolkien, Sulle fiabe, in J.R.R.Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, pag.214

    La creazione fantastica permette di parlare con occhi nuovi di ciò che abbiamo sempre dinanzi a noi. Permette di distaccarcene, vedendo la stessa realtà in un contesto diverso, per poterla riscoprire, per tornare a considerarla ed amarla:

    La Riscoperta (che comprende un ritorno alla salute e il suo rinnovamento) è un ri-acquisto, il riacquisto di una chiara visione. Non dico che si tratti di “vedere le cose come sono”, e non mi mescolo coi filosofi, anche se potrei azzardarmi a dire di “vedere le cose come noi siamo (o eravamo) destinati a vederle”, quali cose distinte da noi. Abbiamo bisogno, in ogni caso, di pulire le nostre finestre, cosicché le cose viste con chiarezza possano essere liberate dal grigio offuscamento della banalità e della familiarità – liberate dalla possessività. Di tutti i volti, quelli dei nostri familiares, sono insieme quelli con cui è più difficile fare giochi con la fantasia, e quelli che è più difficile vedere con fresca attenzione, percependo la loro somiglianza e la loro differenza: il fatto che sono dei volti, e tuttavia dei volti unici. Questa banalità è in realtà la pena che si sconta per l’ “appropriazione”: le cose che sono trite, o (in senso cattivo) familiari, sono le cose di cui ci siamo appropriati, legalmente o mentalmente. Diciamo di conoscerle. Sono divenute come le cose che un tempo ci hanno attratto con il loro splendore, il loro colore o la loro forma: ci abbiamo messo sopra le mani, e le abbiamo rinchiuse col nostro tesoro, le abbiamo fatte nostre, e facendole nostre abbiamo smesso di guardarle. Naturalmente le fiabe non sono il solo mezzo di riscoperta, la sola profilassi contro la perdita. Basta l’umiltà. Da J.R.R.Tolkien, Sulle fiabe, in J.R.R.Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, pag.215

    L’aspetto più importante della creazione fantastica non sta così nella sua stravaganza o stranezza, ma nel suo riuscire a parlare in maniera diversa, di ciò che conta realmente:

    E in effetti le fiabe trattano ampiamente, o (quelle migliori) principalmente, cose semplici o fondamentali, non toccate dalla Fantasia, che però sono rese più luminose dal loro collocamento. Perché il narratore, che si concede di “essere libero” nei confronti della Natura, può esserne l’amante, non lo schiavo. Fu nelle fiabe che io intuii per la prima volta la potenza delle parole, e la meraviglia delle cose, di cose come pietra, e legno, e ferro; albero ed erba; casa e fuoco; pane e vino. Da J.R.R.Tolkien, Sulle fiabe, in J.R.R.Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, pag.217

    Così Tolkien rigetta l’accusa di evasione rivolta ai creatori di mondi fantastici:

    Perché mai un uomo dovrebbe essere disprezzato se, trovandosi in carcere, cerca di uscirne e di tornarsene a casa? O se, non potendolo fare, pensa e parla di argomenti diversi dai carcerieri e dai muri della prigione? Il mondo esterno non è divenuto meno reale per il fatto che il prigioniero non possa vederlo. Utilizzando “Evasione” in questo modo, i critici hanno scelto la parola sbagliata, e, quel che è peggio, stanno confondendo, e non sempre in buona fede, l’Evasione del Prigioniero con la Fuga del Disertore. Allo stesso modo un portavoce di partito avrebbe potuto etichettare la fuga dalle miserie del Reich del Führer o di qualsiasi altro regime,o anche solo la sua critica, come un tradimento. In modo simile questi critici, per rendere peggiore la confusione, e attirare il disprezzo sugli oppositori, appiccicano la loro etichetta spregiativa non solo sulla Diserzione, ma anche sull’Evasione vera e propria, e su quelli che sono spesso i suoi compagni: Disgusto, Rabbia, Condanna e Rivolta. Non solo essi confondono l’evasione del prigioniero con la fuga del disertore, ma sembrerebbero preferire l’acquiescenza del collaborazionista alla resistenza del patriota. Di fronte a questo modo di pensare, basta dire soltanto: “la terra che amate è condannata” per scusare ogni tradimento, e persino per glorificarlo. Da J.R.R.Tolkien, Sulle fiabe, in J.R.R.Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, pag.218

    La fiaba ben scritta può riportare, paradossalmente, ad un mondo più reale di quello che si impone apparentemente ai nostri occhi:

    Quanto reale, quanto sorprendentemente viva, è infatti la ciminiera di una fabbrica a paragone di un olmo: povera cosa obsoleta, sogno inconsistente di chi cerca di evadere la realtà! Per parte mia, non posso convincermi che il tetto della stazione di Bletchley sia più “reale” delle nuvole. E in quanto manufatto, lo trovo meno ispiratore della leggendaria volta del cielo. Da J.R.R.Tolkien, Sulle fiabe, in J.R.R.Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, pag.220 (50)


    Crediti di © gliscritti.it

    Edited by ;Fairytale» - 22/4/2023, 15:30
     
    .
0 replies since 8/6/2013, 21:47   170 views
  Share  
.