L'incatemamento di Melkor

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  1. thelordoftherings
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    L'incatemamento di Melkor

    L’episodio relativo alla cattura di Melkor, cui fece seguito la sua prima cattività, è noto nel Silmarillion come “Guerra delle Potenze” ed è descritto in termini piuttosto stringati. Come sappiamo, nei Racconti Ritrovati si rinviene l’"humus" da cui prese vita la cosmogonia Tolkieniana, materia in continuo fermento che ha trovato il suo assetto definitivo nella splendida opera, postuma, titolata Il Silmarillion. Molto di quanto si legge nei Racconti Ritrovati risulta di conseguenza modificato, talora anche in termini sostanziali, nell’Opera finale. Resta però, indubbiamente, un filo conduttore immutato, che consente di approfondire l’episodio sinteticamente descritto nel Silmarillion con l’assai più ampia illustrazione che ne viene fatta nei Racconti Ritrovati (dove è la Regina elfica Meril-i-Turinqi a narrare la storia a Eriol, il navigatore solitario giunto sull’isola di Tol Eressëa).

    La collocazione temporale dell’incatenamento è indubbiamente molto diversa nelle due opere: nel Silmarillion, infatti, essa coincide con l’avvento degli elfi, annunciato da Oromë, che induce i Valar ad attaccare Utumno; nei Racconti Ritrovati, invece, la decisione dei Valar è assai antecedente all’avvento degli elfi e matura in seguito ai gravi sconvolgimenti che Melko (questo era, nei Racconti, il nome del Vala poi divenuto Melkor nell’Opera finale) si dilettava ad operare in Arda, stravolgendo le terre ed i mari e distruggendo tutte le opere di Yavanna, tanto che solo quest’ultima ed Oromë, tra gli abitanti di Valinor, continuavano a recarvisi di tanto in tanto e riportavano agli altri Ainur le nefandezze di Melko. Anche Ossë era furente per lo sconvolgimento del suo regno, oltre a temere lo scontento di Ulmo. I Valar, tenuto consiglio sotto i due alberi (nei Racconti denominati Laurelin e Silpion) decisero dunque di recarsi presso la dimora di Melko in Utumna (poi divenuta Utumno nel Silmarillion) per indurlo – se mai si fosse rivelato possibile – ad azioni migliori e se null’altro avesse funzionato, per sopraffarlo con la forza o con la frode ed imprigionarlo in una schiavitù senza speranza. Aule raccolse allora sei metalli (rame, argento, stagno, piombo, ferro e oro) oltre ad un settimo da lui creato con la magia e denominato tilkal, che racchiudeva le proprietà dei primi sei ed altre sue particolari. Il tilkal era di colore verde chiaro, ma diveniva rosso al mutare della luce e non poteva essere spezzato.

    Con i sette metalli venne forgiata la catena Angaino (poi divenuta Angainor, nel Silmarillion) che significa “colei che opprime” ed in ciascun anello venne messa una piccola quantità di tilkal. Interamente di tale metallo magico, invece, erano la manette Vorotemnar ed i quattro ceppi Ilterendi. I Valar partirono quindi indossando grandi corazze, dono di Makar (un Vala-guerriero, di cui non vi è traccia nel Silmarillion) guidati da Manwë sul suo carro blu trainato da tre cavalli candidi come la neve. Con lui vi erano il figlio Fionwë e l’araldo Nornorë (nel Silmarillion, Manwë non ha figli ed il suo araldo si chiama Eonwe) Oromë a cavallo e Tulkas che procedeva a piedi, a grandi passi, seguito dal figlio Telimektar (figura che sparisce nel Silmarillion) . Mandos e Lorien viaggiavano su un carro scuro, sèguiti da Salmar ed Omar (due Valar minori, che non compaiono nel Silmarillion).

    Aule si mosse per ultimo, avendo lavorato a lungo per forgiare Angaino, portando con sé il suo maglio mentre quattro suoi fabbri reggevano dietro di lui la smisurata catena. Dal mare, giunsero Ulmo ed Ossë (anch’esso un Vala, nei Racconti Ritrovati, sia pure di minor potenza rispetto ad Ulmo). In nessun modo Melko, pur tentando con terremoti ed eruzioni di fuoco, riuscì a rallentare la marcia dei potenti, cosicché essi giunsero alle porte di Utumna, che Melko serrò dinanzi a loro con gran fragore. Oromë scese allora da cavallo e suonò il corno con tale vigore che le porte si aprirono immediatamente. Melko, nascosto nel profondo delle sue aule, mandò il servo Langon a riferire che egli si stupiva di come gli Dèi avessero lasciato “…gli ozi di Valinor per i luoghi squallidi dove Melko lavora in umiltà, compiendo estenuanti fatiche” e si dichiarò disposto ad ospitare due di loro, ma non Manwë, perché di troppo alto lignaggio, né Tulkas, perché troppo superbo e pretenzioso. Tutti i Valar furono irritati dall’astuzia e dalla servile insolenza delle parole di Melko e già Tulkas voleva partire all’assalto, ma Manwë, che voleva evitare una cruenta battaglia capace di squarciare la terra, decise di giocare d’astuzia e irretire quel maestro della frode con le sue stesse armi. Manwë, che nella grandezza del suo animo ancora sperava in una soluzione incruenta, sapeva che il vero punto debole di Melko era costituito dal suo smisurato orgoglio, fonte di una sete di potere e di dominio praticamente inestinguibile.

    Inviò quindi nelle aule sotterranee l’araldo Nornorë, il quale si approcciò a Melko con parole umili e di sottomissione, spiegando che i Valar si erano recati in Utumna per scusarsi con lui ed invitarlo a tornare in Valinor. Non era, infatti, forse proprio Melko il più potente dei Valar? Se aveva dato luogo a tante furiose distruzioni - proseguì l’araldo – certo era colpa degli altri Ainur averlo fatto incollerire e di ciò essi ora volevano chiedere venia, pregandolo di tornare in Valinor, dove Aule avrebbe provveduto a costruirgli una residenza degna di lui e dunque più alta di Taniquetil. Come Manwë aveva previsto, l’orgoglio di Melko ne sopraffece la prudenza ed egli si lasciò irretire facilmente, specie quando l’araldo gli riferì che Tulkas, oppostosi alle decisioni degli altri Valar, era stato costretto a seguirli con la forza e per tale ragione si trovava in ceppi e catene per essere condotto al suo cospetto. Melko, infatti, odiava e temeva allo stesso tempo quel Vala lottatore del quale, molto tempo prima, già aveva assaggiato il pugno. “Finalmente gli Dèi pronunciano parole belle e giuste” disse allora Melko, tronfio e compiaciuto, dettando una serie di condizioni perché egli potesse ammettere i Valar al proprio perdono: essi avrebbero dovuto deporre le armi all’ingresso di Utumna e recarsi al suo cospetto e comunque Tulkas non sarebbe stato ricevuto (“…e se tornerò in Valinor – aggiunse Melko – lo caccerò via”).

    Alla fine, però, solleticato dall’idea di umiliarlo davanti a tutti, accettò che anche il temuto Vala guerriero fosse condotto nelle aule sotterranee. I Valar si recarono quindi nella grande aula sotterranea ove, sul proprio trono, siedeva Melko: in un’atmosfera di oscurità e magia, nere creature si muovevano nell’ombra e numerosi serpenti si avviluppavano alle colonne che, altissime, sostenevano la volta. Per simulare la prigionia di Tulkas, Angaino gli venne posta intorno ai polsi e sulle spalle, tanto che, malgrado la sua smisurata forza, faticava a sostenerne il peso. Una volta giunti al cospetto del malvagio, i Valar, per bocca di Manwë, lo invitarono a recarsi con loro in Valinor e se egli, in quel momento, avesse accettato, davvero Manwë avrebbe imposto agli altri Dèi di tollerarne il ritorno all’Ovest. Ma la propensione al male di Melko era davvero indomabile e così egli volle godere appieno di quello che credeva essere il suo trionfo: pretese che Manwë andasse ad inginocchiarsi davanti a lui, soggiungendo che anche gli altri Valar avrebbero dovuto fare altrettanto e da ultimo Tulkas, in catene, avrebbe dovuto baciargli i piedi (era sua intenzione, infatti, assestargli un calcio sulla bocca umiliandolo davanti a tutti).

    Vedere Manwë Sùlimo inginocchiarsi dinanzi a quell’essere malvagio, però, fu del tutto intollerabile per Tulkas, che, liberatosi di Angaino, gli si avventò contro con un grido selvaggio; Melko invocò i propri servi e tentò di colpire Manwë con la sferza, ma quegli soffiò delicatamente sulle code della frusta che si rivoltarono indietro. In un attimo Tulkas fu addosso a Melko e lo colpì con il pugno di ferro in pieno volto, mandandolo in terra; Aule ed Oromë si unirono nella lotta al Vala combattente ed in pochi istanti Melko si ritrovò “…avvolto per trenta volte nelle lunghezze di Angaino”. I servi di Melko, terrorizzati, si diedero a precipitosa fuga ed il loro padrone venne condotto a forza fuori dei sotterranei di Utumna. Ai polsi gli furono le manette Vorotemnar ed ai piedi i ceppi Ilterendi: il tilkal di cui erano composti, al contatto con Melko divenne di colore rosso. Prima di condurre il malvagio in Valinor, ove sarebbe stato sottoposto a giudizio, Aule e Tulkas distrussero in modo irreversibile la fortezza di Utumno: tuttavia, nei profondi cunicoli sotterranei, rimasero numerose creature oscure e malvagie, pronte a cercare vie di uscita per recare nuovi mali in Arda (in questo vi è perfetta coincidenza tra i Racconti Ritrovati ed il Silmarillion: si ricordi, ad esempio, che Melkor/Morgoth, imprigionato nelle tele di Ungoliant in sèguito al rifiuto di darle in pasto anche i Silmaril, viene soccorso dai Balrog, rimasti celati nei sotterranei di Utumno, richiamati dalle grida del loro padrone).


    La catena Angainor
    Angainor o, in una scrittura più antica, Angaino è un oggetto di Arda, l'universo immaginario fantasy creato dallo scrittore inglese J.R.R. Tolkien. È la catena costruita dal Vala Aulë per imprigionare Melkor all'interno delle Aule di Mandos. È il capolavoro di Aulë nonché l'oggetto più resistente di Arda, e il suo nome significa "Colei che opprime".

    Angainor fu fatta di un materiale creato per l'occasione da Aulë, che con la sua magia mischiò sei metalli, rame, argento, stagno, piombo, ferro e oro. Il risultato egli lo chiamò tilkal, usando la prima lettera di ognuno di quei metalli nella lingua degli Elfi: Tambë (il rame), Ilsa (il nome "magico" di telpë, l'argento), Latuken (lo stagno), Kanu (il piombo), Anga (il ferro), Laurë (altro nome di kulu, l'oro). Tale materiale risultava di colore tra il verde chiaro ed il rosso, a seconda della luce, e non poteva essere spezzato da nessuno, nemmeno da Aulë stesso, che era l'unico in grado di lavorarlo.

    Quindi la catena Angainor fu forgiata usando tutti e sette i metalli, saldandoli tra loro tramite complicati incantesimi, fino a raggiungere una sostanza dura e liscia; oltre alla catena, Aulë fabbricò anche due manette, le Vorotemnar, cioè "che legano per sempre", e quattro ceppi, gli Ilterendi, "che non possono essere infranti".

    Come già detto, la catena fu usata per incatenare Melkor le due volte che venne catturato dai Valar; la prima, durante le prime Ere di Arda, egli vi rimase legato per tre ere, dopo aver una prima volta combattuto, e perso, contro i Valar. La seconda, invece, fu alla fine della Prima Era, quando fu sconfitto definitivamente dai Potenti, e quando la sua Corona ferrea fu trasformata in un collare. In quest'occasione rimase ancora per poco prigioniero di Angainor (che Tolkien descive così lunga che Melkor "si trovò avvolto trenta volte nelle [sue] smisurate lunghezze"), poiché fu esiliato da Eä, e gettato nel Vuoto fuori oltre Arda.



    Edited by thelordoftherings - 18/2/2012, 17:05
     
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